Nel mondo occidentale, in Italia in particolare, si diventa mamme sempre più tardi.
L’età media, infatti, di concepimento del primo figlio si assesta per le donne italiane ai 31/32 anni, contro una media europea del 29,3.
Questo dato, determinato da un complesso intreccio di fattori socio-economico-culturali, contribuisce all’abbassamento del livello di fertilità. Si sa, infatti, che per le donne il tasso di fertilità, massimo tra i 20 e i 30 anni, subisce un primo calo dopo i 32 anni ed uno più drastico intorno ai 40 anni.
Assistiamo inoltre ad una generale diminuzione della fertilità, sia di quella maschile che di quella di coppia.
Quindi mamme sempre più “mature” e sempre meno bambini.
Questo contribuisce ad una considerazione della gravidanza sempre meno come una fase fisiologica e naturale della vita e sempre più come un evento caratterizzato da un’aura di eccezionalità.
Gravidanza tra l’altro, dicono sempre le statistiche, che mette al mondo dei figli unici.
Il carattere, dunque, di preziosità ed eccezionalità che frequentemente si accompagna a gravidanze molto sofferte, perché attese, rimandate, di difficile realizzazione (per non parlare di quelle “particolari” ottenute con l’intervento di tecniche di procreazione medicalmente assistita) fa si che la paura che qualcosa non vada per il verso giusto possa prendere il sopravvento.
Ansia ed allarme possono allora colorare questo momento di elementi patologici.
Da evento fisiologico, quello che un tempo si diceva “stato interessante” diventa nel vissuto individuale una sorta di stato di malattia.
Questo crea rigide modalità di comportamento (dalla dieta allo stile di vita ecc.) che possono oscillare tra estremi di medicalizzazione o di scelte nature oriented perché tutto, per un evento con tali caratteristiche di eccezionalità, deve essere perfetto, programmato e preordinato.
In questa ansia di “fare la cosa giusta” e di “essere all’altezza” , la futura neo mamma si trova spesso ad inseguire ideali di comportamento e a rinunciare a scoprire, accettare, e valorizzare la donna che è, e quindi, la mamma che sarà.
Aspetti di paura, ambivalenza, insicurezza (che pure sono presenti ed estremamente fisiologici durante la gravidanza come in tutti i momenti di cambiamento) possono essere allora ignorati o tacitati, mentre è proprio con essi che ci si deve confrontare per iniziare a formarsi come mamma, quella mamma, di quel bambino che si comincerà a conoscere.
La visione ad un ideale (come tale rigido e irraggiungibile) è purtroppo frequentemente alla base di difficoltà di adattamento agli aspetti di realtà, vissuti come effetti di colpa o di inadeguatezza personale, con conseguenti possibili ricadute depressive.
Inoltre, una visione che carica di “eccezionalità” l’evento gravidanza può far sentire i suoi effetti anche sul modo di rapportarsi al bambino, alla sua crescità ed alla sua educazione.
Indubbiamente, ogni gravidanza, ogni parto, ogni nascità, per chi li vive, hanno caratteristiche di eccezionalità, ma di un’eccezionalità esperenziale e personale, non culturale e collettiva.
A tale livello sono e devono restare normali eventi di vita.