Spinta di galleggiamento e pressione
È importante comprendere la legge di Archimede per capire perché un corpo galleggia. Essa recita:
“Un corpo, immerso in un liquido, riceve una spinta dal basso verso l’alto, pari al peso del volume del liquido spostato”.
Una pallina da ping pong in acqua galleggia, si dice che ha un assetto positivo, e questo perché il peso del volume di acqua spostato dalla pallina è maggiore del peso dell’intera stessa pallina e, per la legge di Archimede, riesce a stare a galla. Un sasso, al contrario, immerso in acqua, affonda: ha un assetto negativo e questo perché il peso del volume di acqua spostato è minore del peso dell’intero sasso, per cui la spinta di Archimede non è sufficiente per tenerlo a galla.
Esiste, poi, l’assetto neutro, che è quello in cui un apneista si trova quando, a mezz’acqua, non tende più né ad affondare, né a tornare in superficie. La quota in cui un atleta si trova in assetto neutro varia ovviamente a seconda delle caratteristiche del liquido in cui è immerso – acqua dolce o salata e grado di salinità –, dello spessore della muta che indossa e di quanto sia pesante la cintura.
La pesata ideale dell’apneista dipende anch’essa da una serie di variabili:
a) Salinità dell’acqua: nei mari più salati la spinta di Archimede è più forte, in quanto il peso specifico dell’acqua è maggiore proprio per la presenza di più sale, per cui si tende a galleggiare di più e l’apneista dovrà aumentare un po’ il peso della sua cintura, mentre nelle acque dolci si tende ad affondare facilmente e ad indossare zavorre più leggere.
b) Che quote si vogliono raggiungere: un atleta che va fondo usa in genere pochi pesi, il che lo costringerà a pinneggiare con maggiore energia in discesa, per contrastare la galleggiabilità fornita dalla muta e l’assetto positivo, ma, una volta raggiunto il suo target, non dovrà risalire trascinandosi una cintura troppo pesante. Se invece ci si prepara ad immersioni in basso fondo, ad esempio per pescare sotto costa, allora si può optare di indossare più chili.
Un atleta professionista, che solitamente si allena nel Mediterraneo, se si sposta nelle acque del Mar Rosso, che hanno un grado di salinità maggiore, che comporta una maggiore spinta di galleggiamento, per esempio, dovrà ricalibrare, per contrastarla, il peso della sua cintura, aumentandolo un pochino.
In acqua, inoltre, abbiamo un incremento della PRESSIONE, a mano a mano che si va in profondità: comprendere tale fenomeno è fondamentale per chi approccia l’apnea. Tutti noi, al livello del mare, viviamo ad una pressione ambiente di un’atmosfera – o un bar – che è il peso esercitato, dalla immaginaria colonna d’aria, di 10000 metri di altezza, su ogni cm quadrato del nostro corpo e che, in pratica, rappresenta quella che è l’atmosfera terrestre. In mare, per riprodurre una stessa atmosfera è sufficiente scendere, invece, ad una profondità di soli 10 metri ed a -20 metri saremo già ad una pressione ambiente di 3 atmosfere ed a -30 metri ad una pressione ambiente di 4 bar o 4 atmosfere. Questo aumentare così incalzante della pressione, a mano a mano che scendiamo in profondità, ha delle enormi ripercussioni su quelle che sono le parti aeree del nostro organismo: i polmoni, il cavo orofaringeo, le orecchie ed addirittura la maschera che, in immersione, è un elemento che diventa parte integrante di noi. Questi componenti subiscono uno schiacciamento, che si rivela sempre più importante con l’aumentare della profondità e, perciò, dovranno essere “compensati”.
La legge di Boyle dice che: a temperatura costante, il volume di un gas è inversamente proporzionale alla sua pressione.
A tale proposito è interessante capire che se noi abbiamo in superficie, ad 1 atmosfera, un volume polmonare, per esempio, pari a 6 litri, questo a -10 metri ed a 2 atmosfere si dimezzerà, diventando di 3 litri, mentre a -20 metri ed a 3 atmosfere, continuerà a ridursi, ma in maniera men che proporzionale, diventando pari a 2 litri… e così via. Si nota che il dimezzamento del volume dei polmoni si verifica solo nei primi 10 metri, dopo questi il volume non continuerà a dimezzarsi, ma si ridurrà seguendo una curva che si appiattisce a mano a mano che si va più profondi.
Osserviamo, perciò, un fenomeno molto interessante, per il quale la riduzione maggiore del volume polmonare avviene a -10 metri: continuando a scendere sott’acqua tale riduzione continuerà ad esserci, ma in misura sempre minore. Questa è una delle spiegazioni per cui gli incidenti o le difficoltà maggiori per un apneista si verificano proprio negli ultimi 10 metri della risalita, dove i polmoni ritorneranno “improvvisamente” alla loro dimensione originaria.
I solidi ed i liquidi, invece, non sono comprimibili, per cui le parti del nostro corpo con tali caratteristiche non subiranno rilevanti variazioni al variare della pressione.
di Mariafelicia Carraturo
www.feliciacarraturo.it