La vita delle piante è una ricetta complessa possibile grazie a semplici ingredienti – anidride carbonica presente nell’aria, sali minerali del suolo, acqua quanto basta, energia luminosa proveniente dal sole per attivare la clorofilla – e all’influenza di alcuni fattori ambientali – temperatura, luminosità ed umidità – che ne condizionano lo svolgimento.
La vita di una pianta inizia quando il seme raggiunge il suolo, lì dove il vento o un altro vettore lo abbandona; grava su di lui un fatale destino: il terreno dove germinerà sarà ricco e fertile? La luce, il calore, l’acqua vi si troveranno in rapporto favorevole alla vita? D’ora in poi non potrà più viaggiare. Le piante infatti non si spostano, a differenza degli animali che possono trasferirsi da un ambiente poco favorevole verso uno più adatto alle proprie esigenze.
È per questo motivo che i vegetali hanno dovuto elaborare strategie diverse per nutrirsi, difendersi, riprodursi!
La variabilità di fattori come temperatura, umidità, luce e presenza di nutrienti si traduce in situazioni ambientali che richiedono determinati adattamenti, per cui abbiamo, per esempio, specie vegetali in grado di “arrangiarsi” in ambienti caldi e secchi, come le succulente, conservando riserve idriche in speciali tessuti; invece, negli ambienti umidi vivono felicemente le specie igrofile, le quali non risentono dei ristagni in prossimità degli specchi d’acqua; lì dove il terreno non fornisce un’adeguata concentrazione di composti azotati, riescono a sopravvivere le piante che sono in grado di compensare tale mancanza catturando insetti vivi, fonte accessoria di nutrienti; sono queste le piante che amiamo definire carnivore; relativamente alla luminosità, le specie eliofile gradiscono la luce piena, mentre quelle sciafile preferiscono la luce filtrata del sottobosco.
Qualunque sia il contesto ambientale, la nutrizione avviene principalmente a carico delle foglie e dei loro organuli fotosintetici, i cloroplasti. In questi microscopici laboratori biochimici avviene il mirabile processo conosciuto come fotosintesi: le sostanze minerali, assorbite in soluzione acquosa attraverso l’apparato radicale, e l’anidride carbonica dell’aria vengono trasformate in materia organica grazie alla clorofilla, il pigmento fotosintetico più abbondante, ma non l’unico, nel mondo vegetale; è proprio questo pigmento naturale ad essere il componente fondamentale del complesso sistema che rende gli organismi fotosintetici autonomi dal punto di vista della nutrizione; a questa capacità si dà il nome di autotrofia.
L’energia per avviare tali processi vitali viene fornita dal sole e convertita in energia chimica sotto forma di molecole organiche, quali ad esempio il glucosio e l’amido, rispettivamente uno zucchero semplice e un carboidrato complesso.
Ricordiamo che una molecola è costituita da legami chimici tra gli atomi e che ogni legame contiene energia; quindi in pratica una molecola è un “magazzino” di energia, e più grande sarà il composto sintetizzato, maggiore sarà l’energia immagazzinata. Da notare che come “prodotto di scarto” di questo complesso di reazioni le piante rilasciano ossigeno nell’ambiente.
Grazie alla produzione degli zuccheri, la fotosintesi rende possibile la vita non solo delle piante: poiché queste sono alla base della piramide alimentare, vanno a costituire esse stesse la fonte di nutrimento per gli organismi eterotrofi, cioè quelli che dipendono per il loro nutrimento da altri organismi viventi, siano essi vegetali o animali, non essendo in grado di trasformare le sostanze inorganiche in composti organici.
Il glucosio, oltre che a scopo nutritivo ed energetico, sarebbe secondo alcuni studi, necessario per inviare segnali ai geni coinvolti nello sviluppo cellulare e nella crescita.
Per mantenere in piedi questo laboratorio, è necessario che siano sempre disponibili i composti che le piante reperiscono direttamente dall’aria che le circonda, l’anidride carbonica, e dal terreno in cui affondano tenacemente le loro radici, l’acqua e i sali minerali, impiegati questi ultimi sia a livello strutturale sia in alcune funzioni metaboliche.
Il trasporto della linfa avviene grazie a tessuti altamente specializzati chiamati xilema e floema; essi sono strutturati in modo da costituire dei veri e propri vasi conduttori, formati da cellule che nel caso dello xilema sono morte, svuotate per meglio adempiere al compito del trasporto dal basso verso l’alto della linfa grezza, ossia la soluzione di acqua e sali minerali. Per consentire questo trasporto contro gravità, entrano in gioco alcuni fenomeni fisici indispensabili: l’osmosi, che consente il passaggio dell’acqua dal terreno attraverso i peli radicali, la risalita per capillarità, possibile grazie al diametro infinitesimale dei vasi xilematici, e il “richiamo” che si genera per la variazione di pressione conseguente alla evaporazione dell’acqua dagli stomi (i piccolissimi fori che si trovano per lo più al di sotto delle foglie).
La linfa elaborata, ossia quella sostanza acquosa ricca di zuccheri prodotti con la fotosintesi, viene poi trasportata attraverso il floema dalle foglie verso gli altri organi della pianta.
Il trasporto della linfa viene condizionato dall’umidità atmosferica, che è determinante nell’assorbimento dell’acqua dal suolo; questo assorbimento rallenta fino ad arrestarsi quando l’aria è carica di umidità, interrompendo l’evaporazione attraverso le foglie. Al contrario, un’aria molto secca “richiama” acqua dalle piante, facendo aumentare l’evaporazione attraverso gli stomi e di conseguenza la risalita di acqua dal terreno. Per evitare, per quanto possibile, gli “stress idrici”, le piante possono regolare l’apertura e la chiusura degli stomi.
Oltre ai principali processi vitali descritti, le piante presentano affascinanti modalità di riproduzione, curiose strategie di difesa e “comportamenti” peculiari grazie ai quali riescono a stringere “amicizie” più o meno durature con altri esseri viventi. Ne parleremo nelle lezioni successive.