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Oltre all’apnea statica, di cui abbiamo parlato nella lezione n.7, abbiamo l’apnea DINAMICA e l’apnea PROFONDA.

Apnea Dinamica

Quella dinamica si pratica in piscina e si divide in apnea con o senza attrezzi: l’atleta cerca di percorrere più metri possibili immerso e nuotando o a rana subacquea oppure utilizzando le due pinne o la monopinna. Rispetto alla statica, in cui si deve “solamente” trattenere il respiro, qui l’apneista deve calibrare la giusta pesata e la giusta pinneggiata.
Si parla di giusta pesata poiché anche in piscina si indossa una muta, in genere molto sottile – per contrastare il freddo dell’acqua, che non favorisce la condizione di rilassamento – che però inevitabilmente tenderà a farci galleggiare.
Il ritmo e l’ampiezza, inoltre, della pinneggiata sono elementi fondamentali di una performance in piscina.
Calibrati questi due parametri, l’atleta può dedicarsi al suo percorso mentale e, rispetto alla statica, qui esiste oggettivamente un percorso, fatto di metri che si susseguono, del raggiungimento di un bordo il cui avvicinamento è contrassegnato dalla “T” presente sul fondo della piscina, dalla virata e dal ritrovare, dopo di essa, il giusto assetto e la giusta pinneggiata per percorrere un’altra vasca.
La fase più dura è rappresentata dal sopraggiungere della fame d’aria e dalla volontà dell’apneista, invece, di volere percorre altri metri.
Questo è il momento in cui subentra l’importanza della preparazione mentale: l’istinto ci direbbe di aumentare la velocità, ma non esiste errore più madornale di esso, in quanto intensificare la nostra pinneggiata significherebbe aumentare il consumo di ossigeno, che è già residuo a fine prova e ciò può portare al verificarsi di una sincope o black out. Queste, in genere, sono più frequenti nei bacini limitati (piscina) in quanto l’atleta si sente più sicuro e tende a “spingere” di più le proprie prestazioni. Ne deriva che anche e soprattutto in piscina è necessario adottare il cosiddetto sistema di coppia: mai soli!

Il controllo, la capacità di rilassarsi ed il comprendere che nella fase delicata di fame d’aria, in cui arrivano le fastidiose contrazioni diaframmatiche, è necessario rallentare, invece che accelerare, sono importantissimi.
E’ utile adottare un proprio percorso mentale per affrontare tale prova ed avere un self talk positivo che ci inciti ad andare avanti e ci distolga dai pensieri negativi. L’apnea dinamica si conclude sempre con un protocollo di uscita, che serve a testare la lucidità e la condizione di presenza a se stesso dell’atleta, che porta a termine il suo percorso subacqueo in maniera corretta.

Apnea Profonda

Un tuffo in profondità è composto, a grandi linee, dalla fase di discesa e da quella di risalita. In mare gli elementi e le azioni che l’apneista deve affrontare e compiere sono molti di più rispetto a quelli di un’apnea dinamica o statica. Ci si confronta, prima di tutto con le condizioni meteomarine: altezza dell’onda, corrente di superficie e di profondità, visibilità in acqua e freddo. L’apneista, inoltre, dovrà affrontare la pressione e lo schiacciamento che ne deriva, a mano a mano che scende verso l’abisso, e questo comporta il padroneggiare le tecniche non solo di rilassamento, come nella statica e nella dinamica, ma anche quelle di compensazione. Alla fame d’aria, infatti, si sostituisce qui la difficoltà di compensare le orecchie e/o una certa inquietudine che l’abisso può provocare in alcuni soggetti, che li induce a fermare la propria discesa, a girare ed a tornare in superficie. In un gran numero di casi, a meno che non si parli di atleti professionisti, le difficoltà di compensazione derivano proprio da un non perfetto stato di agio in acqua e di rilassamento nell’affrontare il blu profondo. E’ difficile che un subacqueo senta, in discesa, di essere a corto di ossigeno: arriveranno prima le difficoltà compensatorie e di rilassamento sullo schiacciamento dovuto alla pressione.

La sensazione di non avere più aria, invece, l’atleta la avvertirà in prossimità della superficie, dove i suoi polmoni stanno tornando al volume originario ed è quello il momento in cui più forte si sente la voglia di volere respirare di nuovo. Anche qui l’istinto ci porterebbe ad aumentare la velocità della pinneggiata per mettere più velocemente possibile la testa fuori dall’acqua, ma, anche in questo caso, come per l’apnea dinamica, non ci può essere errore più grosso: siamo alla fine di un tuffo in profondità, durante il quale abbiamo avuto un bel dispendio di energia, ci scuotono le contrazioni diaframmatiche, che sono la manifestazione del fatto che siamo a corto di ossigeno, abbiamo faticato per scendere dopo la capovolta e per tutta la durata della risalita, ora, per portare a termine il nostro tuffo dobbiamo rilassarci e rallentare.

E’ intuitivo come, anche in questo caso, avere una buona capacità di autocontrollo, un parlarsi positivo che ponga l’attenzione sul percorso già compiuto, rispetto a quello ancora da compiere, non alzare la testa per veder “quanto manca”,  determinino la riuscita della nostra apnea.
Mai da soli, anche qui, è un must.

Come per la dinamica, anche dopo un tuffo fondo, è buona norma avere un protocollo di uscita che indichi la buona salute dell’atleta e la sua presenza a se stesso.

di Mariafelicia Carraturo
www.feliciacarraturo.it

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