Secondo la definizione ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’ictus corrisponde a un’«improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit locale e/o globale delle funzioni cerebrali, di durata superiore alle 24 ore o a esito infausto, non attribuibile ad altra causa apparente, se non a vasculopatia cerebrale».
Per la gravità delle manifestazioni, per le ricadute cliniche immediate e a distanza che può determinare e per la sua potenziale letalità, l’ictus va sempre considerato un’emergenza medica da trattare tempestivamente in strutture attrezzate e organizzate per offrire interventi mirati e specifici nel più breve tempo possibile, vale dire nelle Stroke Unit.
L’ictus emorragico è legato alla rottura di un vaso sanguigno cerebrale, con conseguente fuoriuscita del sangue che va a danneggiare la porzione di cervello interessata dall’emorragia, impedendo contemporaneamente il necessario apporto di ossigeno e sostanze nutritive alle cellule nervose di norma irrorate da quell’arteria e dalle sue ramificazioni.
È la forma di ictus cerebrale meno frequente (rende conto di circa il 15% dei casi), ma anche la più difficile da gestire e, quindi, quella potenzialmente caratterizzata dagli esiti più severi e invalidanti.
L’emorragia che lo caratterizza può essere di tipo “intracerebrale”, ossia svilupparsi all’interno del tessuto nervoso cerebrale, oppure di tipo “subaracnoideo”, ossia compresa nello spazio tra lo strato più interno (pia madre) e quello intermedio (aracnoide) delle membrane che rivestono l’encefalo (meningi).