Che la sessualità maschile sia differente da quella femminile (e viceversa) è cosa scontata. Del resto il vecchio adagio francese affermava orgogliosamente “Vive la difference!”, lasciando intendere come proprio da questa differenza origini la tensione e l’attrazione tra i sessi.
Nell’atto sessuale c’è sia attrazione per l’altro (e per la sua diversità appunto) sia attenzione a se stessi e a quello che ognuno attraverso la sessualità rappresenta di sé in relazione alla propria immagine ideale, alla propria completezza, alla stima di sé e al senso più profondo connesso con l’essere uomo o donna (che naturalmente risente degli stereotipi culturali).
Se l’atto sessuale viene vissuto come una forma di affermazione di sé, da cui trarre sicurezza ed identità, esso può assumere le caratteristiche di una prestazione, di un rendimento, di una verifica di competenza/capacità (quella sessuale appunto). Ora questo accade frequentemente in adolescenza, nel periodo in cui domina, anche in questo campo, l’insicurezza ed un compensatorio bisogno di affermazione. Con la maturità la sessualità dovrebbe gradualmente ridimensionare queste caratteristiche narcisistiche per diventare sempre più una delle modalità attraverso le quali la persona si esprime ed entra in relazione con l’altro.
Il maschio sin da piccolo è molto concentrato sul proprio organo sessuale, che è esterno, e, dal momento che lo stato di eccitazione è chiaramente visibile, focalizza sull’erezione, sulla sua qualità, sulla sua durata e sulla quantità (di erezioni appunto) il valore e la valutazione della prestazione stessa. In queste situazioni l’attenzione è rivolta a se stesso e la sessualità sembra una gara dove il soggetto stesso misura i punteggi, collegando a questa misurazione la stima di sé, la propria sicurezza, l’autoaffermazione ecc. È noto che gli uomini tengono continuamente d’occhio qualità e quantità della proprie prestazioni e della propria carica sessuale.
Inutile dire che se qualcosa va al di sotto delle aspettative prestazionali, tutto il corollario di valori che in maniera posticcia è stato connesso con la prestazione sessuale crolla, senza che la persona abbia strutturato una rete protettiva che, includendo variabilità e possibilità di insuccesso, possa preservare la stima di sé.
E questo può succedere dal momento che la sessualità è qualcosa di molto complesso, dove corpo e psiche, pensieri, sentimenti e reazioni corporee interagiscono. inoltre, data la rigidità della struttura di partenza, c’è il rischio che si strutturi un circolo vizioso in cui domina l’ansia da prestazione, con conseguenti problemi erettili, eiaculazione precoce, anorgasmia, evitamento. Ognuna di queste situazioni ha un significato specifico che andrebbe analizzato con l’aiuto di un professionista.
Per la femmina il gioco della sessualità si esprime inizialmente, e in alcuni casi prevalentemente, come capacità di attrarre, di sedurre (nel senso etimologico del condurre a sé). La donna scopre via via nel corso della sua vita le potenzialità di piacere derivanti dal suo corpo. Eccitazione ed orgasmo sono fenomeni “intimi”, che non hanno un riscontro esterno e palese. L’aspetto di performance nelle femmine è dato proprio dalla capacità di piacere (all’altro) e di essere un oggetto di attrazione (secondo un’immagine ideale che rispecchia i canoni della moda oltre che l’immaginario personale). Attraverso un continuo giro di verifiche basate su incontri con possibili partners, riprese fotografiche e video da inviare ai social networks le donne misurano il proprio quoziente di seduzione. Questi elementi rientrano sempre nel gioco della seduzione, i problemi sorgono quando tutto è imperniato su di essi, quando si “collezionano” le conquiste o si dipende dall’approvazione dell’altro o si assume un atteggiamento compiacente (alcune donne simulano l’orgasmo) o giudicante. Fenomeni di anorgasmia, calo del desiderio, dispareunia, vaginismo possono essere conseguenti e, anche in questo caso, il ricorso ad uno specialista psicologo, esperto di sessuologia, sarebbe opportuno.