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Standard per un comportamento etico: Advocacy, caring, competenza, responsabilità

ostetrica

I concetti fin’ora esposti possono essere messi in relazione con il codice deontologico, secondo quanto segue:
L’articolo 1.5 recita:
L’ostetrica/o, responsabile della formazione e dell’aggiornamento del proprio profilo professionale, promuove e realizza in autonomia e in collaborazione la ricerca di settore (Competenza).
L’articolo 2.1 recita:
L’ostetrica/o presta assistenza rispettando la dignità e la libertà della persona promuovendone la consapevolezza in funzione dei valori etici, religiosi, culturali, nonché, delle condizioni sociali nella esclusiva salvaguardia della salute dei suoi assistiti (Autonomia/Caring).
L’articolo 2.13 recita:
L’ostetrica/o sostiene la salute globale nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e si impegna alla cooperazione per contrastare le disuguaglianze nell’accesso alle cure e promuovere la salute riproduttiva e di genere, nel mondo (Caring/ Advocacy).
L’articolo 3.1 recita:
L’ostetrica/o tutela la dignità e promuove la salute femminile in ogni età, individuando situazioni di fragilità, disagio, privazione e violenza, fornendo adeguato supporto e garantendo la segnalazione alle autorità preposte, per quanto di sua competenza (Caring/Advocacy).
L’articolo 3.5
Con il consenso della persona interessata, l’ostetrica/o promuove le tecniche di contenimento del dolore della donna e nel neonato per quanto di sua competenza attraverso una scelta clinicamente ed eticamente appropriata (Caring/ Autonomia).
Il codice deontologico dell’ostetrica/o presenta degli articoli dove può essere rintracciato un riferimento al concetto di advocacy, senza però che ci sia utilizzo di questo termine. In particolare, crediamo che nel capo 3 che concerne i rapporti con la persona assistita e nel capo 5 relativo ai rapporti con le istituzioni sanitarie e con il collegio, si possano ravvedere concetti compatibili con l’applicazione dell’advocacy.

Rapporti con la persona assistita

3.1 L’ostetrica/o tutela la dignità e promuove la salute femminile in ogni età, individuando situazioni di fragilità, disagio, privazione e violenza, fornendo adeguato supporto e garantendo la segnalazione alle autorità preposte, per quanto di sua competenza.
3.2 L’ostetrica/o promuove e si impegna a garantire la continuità assistenziale accompagnando e prendendosi cura della donna, della coppia, del nascituro durante la gravidanza, il travaglio, il parto ed il puerperio, al fine di garantire una salute globale degli assistiti.
3.3 L’ostetrica/o si attiva per garantire un’assistenza scientificamente validata ed appropriata ai livelli di necessità. Si impegna nella tutela e nella sorveglianza dei processi fisiologici della sessualità, della fertilità e della salute riproduttiva della donna e della coppia.
3.8 L’ostetrica/o si impegna a promuovere la salute globale e riproduttiva della persona fornendo un’informazione corretta, appropriata e personalizzata rispetto agli stili di vita.
3.9 L’ostetrica/o nel rispetto dei programmi di salute multidisciplinari, integra le attività di sua competenza a quelle degli altri professionisti e si impegna a fornire informazioni complete e corrette sui programmi di prevenzione, assistenza/cura, riabilitazione e palliazione, utilizzando metodologie di comunicazione efficaci e favorenti i processi di comprensione della persona.
Rapporti con le istituzioni sanitarie e con il collegio
5.1 Nell’esercizio della professione, l’ostetrica/o, contribuisce con il suo impegno ad assicurare l’efficienza del servizio ed un corretto impiego delle risorse nel rispetto dei principi etici di solidarietà e di sussidiarietà.

Rapporto tra advocacy e case/care management e consenso informato

Date le caratteristiche dell’ostetrica/o che praticando l’advocacy si pone come “core” del processo comunicativo tra persona assistita, famiglia, medico ed altri operatori sanitari, risulta evidente che questa applicazione si pone all’interno del modello di “case management”, e del suo superamento ovvero il “care management”.
Infatti dalla diretta applicazione dell’advocacy, deriva anche il ruolo manageriale dell’ostetrica/o in quanto gestore di fatto del processo comunicativo, intervenendo e coordinando tutti i passaggi del processo di assistenza.
L’operatrice sanitaria si fa leader del processo assistenziale e gestisce di fatto l’atto comunicativo efficace.
L’introduzione di questo modello organizzativo ha arricchito professionalmente questa figura professionale: che ponendosi come problem solver ha utilizzato un livello maggiore di motivazione e di responsabilità professionale.
L’ostetrica nel Case Manager ricopre contemporaneamente vari ruoli operativi:
• clinico;
• manageriale;
• finanziario.
Il passaggio successivo che rappresenta un’evoluzione, ossia il “care management”, si pone
come risposta ai cambiamenti dei soggetti del sistema sanitario, con lo scopo primario di soddisfare le esigenze bio-psicosociali della persona.

Il care manegement è quindi un programma incentrato sulla persona, non più sul caso che richiede l’intervento di un professionista che concepisce l’individuo in chiave olistica.
Questa evoluzione, è indicativa di una capacità di maturazione della professione ostetrica e con questo substrato strutturale e organizzativo, uno degli elementi più evidenti di questa consapevolezza unitariamente a questi cambiamenti è la funzione di advocacy, qualità distintiva dell’applicazione del Care Manager.
Attraverso il passaggio dal case management al care management, dal considerare le qualità professionali si è passati al considerare le qualità personali, con conseguente centralizzazione della risorsa umana nella dinamica competitiva aziendale. Ecco allora che il sapere nozionistico ha lasciato il posto al know how pratico ed interattivo.
Uno degli strumenti più importanti del Care Management infermieristico è l’empowerment che mira a favorire nella persona assistita l’acquisizione di potere attraverso l’adozione dell’imprescindibile diritto umano di autonomia che si concretizza con l’accrescimento della possibilità dei singoli e dei gruppi di controllare attivamente la propria vita.
Uno degli strumenti, della realizzazione di questo empowerment è il diritto al consenso informato per il paziente, che si tramuta in un dovere per l’ostetrica/o.

CHE COSA SIGNIFICA CONSENSO INFORMATO?

Il consenso informato ha in sé due concetti chiave:
• informare prima del consenso;
• il soggetto principale non deve essere il proponente bensì il destinatario.
La mancata osservazione di tali principi ha comportato numerose denunce nei confronti del personale sanitario da parte di pazienti che si ritengono danneggiati non per le conseguenze degli errori terapeutici, ma per l’errata ed omessa informazione nei loro confronti, riguardo ai rischi ed alle conseguenze della terapia.
Il consenso fornito dal paziente, per la prestazione a cui dovrà sottoporsi, diventa il mezzo tramite il quale si esercita il principio di autodeterminazione, cioè il diritto di ogni essere umano di poter disporre liberamente delle proprie scelte.
Il coinvolgimento diretto dell’assistito è necessario, quindi, per il soddisfacimento del suo diritto alla conoscenza dei dati clinici che lo riguardano, ma anche per renderlo parte attiva durante lo svolgimento del suo piano assistenziale.
Di riflesso, la violazione del dovere dell’informazione può essere fonte di responsabilità professionale in ambito giuridico e più specificatamente in sede civile o penale.
I requisiti intrinseci di un valido consenso sono:
1. la qualità della comunicazione;
2. la comprensione dell’informazione;
3. la libertà decisionale da parte dell’assistito;
4. la capacità decisionale.
Gli standard di informazione proponibili possono essere di tipo professionale, medio, soggettivo. Il primo (di tipo professionale) dà un’informazione che soddisfa il criterio di correttezza tecnica secondo lo stato delle conoscenze mediche, con conseguenti possibili incomprensioni da parte del destinatario dell’informazione.

Lo standard medio deve essere rapportato a quanto una persona potrebbe comprendere della procedura che lo riguarda.
Lo standard soggettivo, in cui l’assistito vuole o può comprendere ciò che ritiene di maggiore significato per lui, con una conseguente personalizzazione di ciò che gli è stato detto.

Il consenso informato nel codice dell’ostetrica/o

Il medico, non è più l’unico professionista chiamato ad occuparsi di informazione e scelte consapevoli rispetto agli interventi sanitari; con lui tutti gli altri professionisti e non solo socio-sanitari, sono chiamati ad inserire il proprio intervento in uno scenario di decisioni consensuali, in cui professionisti e assistito, in collaborazione tra loro, formulano le scelte diagnostico-terapeuticheassistenziali rispetto alle varie opzioni possibili.
In particolare nell’informare l’assistito è implicata la figura dell’ostetrica/o. Esaminando attentamente gli articoli del codice dell’ostetrica/o, in particolare quelli riguardanti i
rapporti con la persona assistita, risuonano parole come: alleanza terapeutica, scelta consapevole e comprensibile del paziente, impiego di metodologie comunicative caratterizzate, dall’efficacia, dalla comprensibilità, dalla multidisciplinarietà, dalla completezza dell’informazione.
Ed ancora, riecheggiano temi riguardanti la partecipazione attiva della donna, ai programmi
diagnostici e terapeutici, al diritto alla procreazione cosciente e responsabile.
Tutti questi temi concorrono alla definizione di una sovra categoria di riferimento che inerisce il consenso informato, a cui espressamente si fa riferimento nell’articolo 3.5 e 3.10:
• 3.5 – Con il consenso della persona interessata, l’ostetrica promuove le tecniche di contenimento
del dolore nella donna e nel neonato per quanto di sua competenza attraverso una
scelta clinicamente ed eticamente appropriata.
• 3.10 – L’ostetrica/o, al di fuori dei casi di emergenza-urgenza, prima di intraprendere sulla persona qualsiasi atto professionale, garantisce l’adeguata informazione al fine di ottenere il consenso informato, sulla base di una vera e propria alleanza terapeutica con la persona. L’informazione clinica non va intesa, infatti, come esclusivamente medica: in realtà la clinica è un ambito comune a molte professioni, ad esempio quella dell’ostetrica/o.
Quindi rientrano tra le informazioni cliniche necessarie all’assistito, almeno quanto la diagnosi medica, la pianificazione dei percorsi diagnostici-terapeutici dell’area ostetrico-ginecologica neonatale, e le prescrizioni relative alle attività tese a garantire la continuità assistenziale (gravidanza, travaglio, parto, puerperio).
Le informazioni relative al programma diagnostico-terapeutico dovranno essere puntuali e comprensibili per il paziente.
Il consenso, deve essere espresso prevalentemente in forma scritta, con particolare attenzione alla necessità di riassunzione del consenso informato nei casi in cui, nel corso dell’attuazione del piano terapeutico, si rendessero necessarie delle modifiche non prese in considerazione precedentemente.
A tal proposito nella fase informativa preliminare all’intervento sanitario, ci si può avvalere
di strumenti quali opuscoli e brochure. Il metodo più utilizzato è quello della costruzione di
schede informative scritte, che sarà poi completata da un colloquio successivo, per verificare la comprensione da parte dell’assistito ed eventualmente offrirgli delle spiegazioni personalizzate. Dopo questa fase, è opportuno lasciare all’assistito un tempo di riflessione, di approfondimento, di ricerca, da condividere anche con persone di riferimento. Solo dopo questo periodo di tempo, la firma dell’assistito per esprimere il consenso acquisisce
senso.
Ci sono alcuni soggetti che non sono in grado di esprimere il proprio consenso:
• soggetti in condizioni cliniche critiche (come uno stato soporoso/coma);
• individui con disabilità psichica grave;
• soggetti affetti da patologie come l’Alzheimer.
Si tratta di condizioni in cui il paziente non è in grado di partecipare al consenso informato, perché incompetente su questo versante.
Sul versante sanitario, per capacità decisionale si intende quel soggetto che:
• è in grado di comprendere le circostanze in cui si trova e le informazioni utili per assumere una decisione riguardante le scelte terapeutiche e assistenziali;
• conosce le conseguenze prevedibili di una decisione data;
• comunica la propria volontà in modo coerente, chiaro e comprensibile.
È assodato che, se la valutazione della competenza psicologica del paziente spetta al medico, non può essere ascrivibile al medesimo alcuna valutazione in merito alla capacità di intendere e volere, parametro di esclusiva pertinenza giuridica.

Fonte: “I modelli Assistenziali intra-partum” di Mediserve, di Vittorio Artiola, Simona Novi, Salvatore Paribello, Ferdinando Pellegrino, Giuseppina Piacente, Andrea Vettori

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