La fibrillazione atriale è il disturbo del ritmo cardiaco più diffuso nel mondo occidentale.
Negli Stati Uniti colpisce circa tre milioni di persone; in Italia, secondo le stime, a esserne interessate sono circa 600-700mila persone, soprattutto dopo i 65 anni e in particolare dopo gli 80 anni.
Oltre ai disagi cardiaci caratteristici e a una riduzione della qualità di vita per chi ne soffre, questa aritmia cardiaca legata all’invecchiamento comporta un significativo aumento del rischio cardiovascolare e soprattutto della probabilità di andare incontro a ictus cerebrale.
L’ictus associato alla fibrillazione atriale è solitamente di tipo “cardioembolico”, ossia determinato dalla formazione di coaguli all’interno degli atri del cuore, che entrano in circolo attraverso l’aorta e arrivano a occludere le arterie di minor calibro presenti nel cervello, determinando ischemia cerebrale.
La fibrillazione atriale insorge spesso come complicanza di altri disturbi cardiaci e, in particolare, dell’insufficienza cardiaca, peggiorando ulteriormente il quadro clinico (già compromesso) dei pazienti e accelerandone l’evoluzione verso stadi di maggiore gravità.