Come ti senti quando qualcuno ti insulta, ti attacca verbalmente o ti guarda con occhi pieni di disapprovazione, disprezzo?
Quando ti senti minacciato, giudicato, non apprezzato e non amato?Si scatena in te una reazione rabbiosa. Senti come un fuoco che brucia dentro di te e questo ti fa immediatamente reagire in modo esplosivo, urlare a gran voce o cercare le parole più spiacevoli per ferire la persona che, secondo te, ha causato la tua sofferenza.
La rabbia è un’emozione che, come tutte le emozioni, ha la sua ragione di essere. Nasce infatti come derivata dell’istinto di sopravvivenza.
Attiva, a livello cerebrale, sostanze chimiche per scatenare le reazioni necessarie a difenderci fisicamente dalla violenza (fuga, attacco ecc.). Se però queste sostanze restano in circolo per troppo tempo non solo avranno una funzione tossica per il nostro corpo ma attiveranno anche reazioni sproporzionate e impulsive.
L’illusoria soddisfazione iniziale, derivante dalla nostra reazione di rabbia e dall’adrenalina che viene attivata, si trasforma in disagio, senso di colpa, frustrazione nel ferire qualcuno e nel non riuscire a rispondere in modo diverso.
Ma noi possiamo liberarci di queste emozioni pervasive e spiacevoli!Per questo, è importante riconoscere in anticipo i segni di rabbia crescente, di questa fiamma che si nutre di risentimento e che diventa sempre più grande fino a quando non crea un fuoco ingovernabile.
Questo significa che è meglio stare zitti e mantenere la rabbia dentro? Non sarebbe forse peggio reprimere tutto?
Possiamo utilizzare una comunicazione non violenta, nella quale riconosciamo il diritto alla nostra rabbia, diciamo chiaramente cosa pensiamo e come ci sentiamo, ma non necessariamente usando parole aggressive, che sono dannose per tutte le parti coinvolte.
Ad esempio, invece di puntare il dito dicendo “tu”, la persona che ha bisogno di esprimere la propria opinione su un’ingiustizia subita può dire “io” esprimendo come si è sentito “..assalito, maltrattato, giudicato, insultato, umiliato …”
Se facciamo la domanda “mi permetti di dirti qualcosa di spiacevole?”, l’altra persona ha la possibilità di accettare o meno. Se accetta di ascoltarti, significa che il suo cervello è già pronto a ricevere delle informazioni.
Ricordiamoci che possiamo sempre operare delle scelte. Siamo infatti responsabili delle nostre azioni, del nostro linguaggio, del nostro comportamento, delle nostre emozioni, abbiamo il potere di scegliere ciò che è benefico o tossico nella nostra vita.
Non siamo invece responsabili di come gli altri reagiscono o dello stato in cui si trovano.
Se riconosciamo la nostra rabbia, se la guardiamo in faccia senza negarla, siamo già sulla buona strada. Possiamo quindi imparare a regolare queste esplosioni, a limitarle il più possibile o a trasformarle in modo positivo, per evitare di esserne completamente invasi.
emozioni
Le abilità emotive
L’apprendimento delle abilità emotive necessita di una metodologia diversa, dato che si presuppone una conoscenza adeguata del proprio mondo emotivo e lo sviluppo delle abilità relazionali. Il ruolo delle emozioni è molto importante in quanto la valutazione di qualsiasi situazione è condizionata dalla capacità dell’individui di conoscere e gestire le proprie emozioni. Queste ultime sostengono e rafforzano i processi cognitivi: la perdita del controllo emotivo può essere fonte di disagio, sofferenza, errore e può causare danni irrimediabili.
L’esperienza umana, se privata delle emozioni, perde di interesse e motivazione. La mente possiede un sistema di emergenza emozionale che consente di dare risposte immediate per salvaguardare l’integrità delle persone. È necessario che i medici imparino a conoscere e gestire gli aspetti emozionali della propria mente. Inoltre, in ambito medico è molto seguita la metodologia dei gruppi Balint, in cui un gruppo di operatori si riunisce periodicamente sotto la guida di un esperto, per confrontarsi sui vissuti emotivi della relazione con il paziente. Ad ogni incontro ogni partecipante ha la possibilità di esporre un caso clinico che gli ha suscitato particolari emozioni. Questi incontri rappresentano un momento formativo oltre a risultare protettivi rispetto a condizioni di demotivazione professionale.
Fonte: Non ho tempo per… Come logora curare: operatori sanitari sotto stress di Ferdinando Pellegrino
Gestire le emozioni “forti”? Provate così
Le emozioni forti c’è chi le cerca per “sentirsi vivo”. Ma c’è emozione ed emozione, e certe “emozioni forti” sono ben poco piacevoli sia per chi le vive sia per chi sta intorno. Un eccesso di irritazione o rabbia che dà luogo a reazioni impulsive non è soltanto stressante per l’organismo, ma può generare incomprensioni e creare problemi relazionali in famiglia, con gli amici o sul lavoro. Arrivando anche a deteriorare il rapporto di coppia o a rovinare la carriera, se le “emozioni forti” si manifestano troppo spesso. Ecco qualche consiglio per non essere vittima dell’impulsività e vivere sereni.
Le emozioni mettono in moto il cervello degli adolescenti
Non è difficile pensare che uno stato emotivo particolarmente forte possa causare un aumento dell’attività cerebrale, soprattutto negli adolescenti. Il dato è interessante soprattutto se confrontato ad altri meccanismi che mettono in funzione il nostro cervello, meccanismi che però richiedono una partecipazione minore rispetto all’elaborazione delle emozioni. Questo tema è stato al centro di una ricerca molto interessante nata da una collaborazione tra IRCCS Medea e il Polo di Bosisio Parini dello stesso Istituto, con la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico e con la Università degli Studi di Milano, pubblicato sulla rivista Brain and Cognition.
L’esperimento
I soggetti della ricerca sono stati un gruppo di ragazzi di età compresa tra i 14 ed i 19 anni. E’ stato chiesto loro di leggere mentalmente, in due fasi ben distinte, prima dei verbi emotivi e successivamente dei verbi che descrivono azioni. In entrambi i casi i soggetti dovevano immaginare loro stessi nelle situazioni corrispondenti. Dallo studio delle risonanze magnetiche effettuate sui ragazzi che hanno preso parte all’esperimento, è risultato che l’interazione con i verbi che descrivono situazioni emotive causa un incremento di attivazione in due aree precise del cervello.
Secondo la responsabile del progetto, Barbara Tomasino, le zone del cervello che si “attivano” maggiormente in questa fase sono quelle in cui, stando alle parole dell’esperta, “viene codificata la consapevolezza emotiva legata alle parti del nostro corpo, come quando aumenta la sudorazione per uno stato d’ansia o accelera il battito cardiaco per la paura”. Tutto questo meccanismo non si attiva quando il cervello è impegnato a decodificare i verbi che descrivono azioni o una situazione emotiva ma con un compito di tipo cognitivo, come individuare una lettera specifica all’interno del verbo. Infatti, come afferma anche Barbara Tomasino: “Non basta quindi pensare al verbo amare perché si attivino le aree cerebrali coinvolte nella decodifica di questa esperienza emotiva, ma occorre immaginare anche le sensazioni corrispondenti all’amore”.
Questa particolare attività cerebrale, fortemente presente nei ragazzi, si manifesta anche nel cervello degli adulti, ma con un’intensità minore. Infine, secondo Paolo Brambilla dell’Università degli studi di Milano, questo interessantissimo studio “apre la strada verso l’approfondimento di quelle situazioni emotive che spesso si riscontrano in psicopatologia in ragazzi ed adulti sofferenti di ansia, fobie o depressione”.