Si tratta di un sistema in cui il sangue viene portato dal paziente, mediante incannulazione arteriosa, in un circuito extracorporeo. Il sangue, prima di ritornare nell’organismo per via venosa, viene depurato dalle tossine. Per eseguire l’emoperfusione vengono utilizzate resine non ioniche e carbone attivato in forma granulare.
Così come per l’emodialisi, anche per l’emoperfusione non si può parlare di risposta universale a tutti i problemi che si pongono al clinico tossicologico. Essa deve essere limitata solo in alcuni casi:
- L’adsorbente ha un’affinità per la tossina
- La quantità di tossina circolante deve essere una buona parte di quella contenuta nell’organismo
- Esiste una correlazione tra la concentrazione plasmatica della tossina e l’intensità di avvelenamento.
L’emoperfusione è controindicata quando:
- La tossina ha un grande volume di distribuzione
- L’inattivazione naturale metabolica della tossina è in grado di procedere più rapidamente del tempo necessario al personale sanitario per procedere con l’emoperfusione
- Il meccanismo tossico è preciso e rapido.
L’emoperfusione è, quindi, indicata, quando:
- Non è possibile effettuare altri metodi di trattamento
- La tossina che minaccia il paziente ha un piccolo volume di distribuzione nell’organismo
- La sostanza è stata identificata analiticamente nel sangue.
Tecniche
Per eseguire una emoperfusione è necessaria la collaborazione di persone esperte, in quanto richiede lo stesso grado di esperienza che serve per l’emodialisi. Devono essere disponibili servizi per misurare la concentrazione dei farmaci nel palsma, per poter controllare ripetutamente il bilancio elettrolitico, i livelli di eparina e gli altri parametri ematologici.
È possibile una caduta dei valori di leucociti e piastrine del sangue. Un sanguinamento casuale può essere preoccupante ed anche disastroso, per cui anche gli interventi chirurgici minori dovrebbero essere effettuati con prudenza.
Fonte: Vademecum di terapia degli avvelenamenti di Roy Goulding