La malattia di un bambino suscita nei genitori ansia e l’urgenza di interventi atti a liberarlo al più presto da uno stato di sofferenza. Tutto questo si amplifica ulteriormente quando ci si trova davanti un bambino molto piccolo che non riesce ad esprimere a parole come si sente né a chiedere quello che gli sta succedendo.
Si ha in primo luogo la necessità di trovare una spiegazione circa le cause della malattia, informare i genitori in merito alle cause, alla prognosi e agli interventi terapeutici più adatti e tradurre tutto questo in un linguaggio che possa essere compreso ed assimilato dal bambino.
Il pediatra e le altre figure professionali si trovano all’interno di un complesso mosaico relazionale che riguarda sia gli aspetti relativi alla diagnosi ed alla corretta comprensione ed adesione al programma terapeutico (anamnesi, stili di vita, stati d’animo ecc.) sia l’accoglimento ed il contenimento di ansie, paure, angosce dei genitori sia infine un adeguato livello di comunicazione con il bambino.
Le esperienze più difficili da sopportare per un bambino non sono sempre la malattia in sé o il suo trattamento ma l’essere spaventato delle cose sconosciute o, nel caso di ricovero ospedaliero, lo stare lontano da casa in un mondo sconosciuto popolato da strani odori, suoni, pratiche e strumenti.
Cosa fare ad esempio quando si deve convincere un bambino a sottoporsi ad una terapia medica?
Il miglior atteggiamento è quello di dedicargli del tempo: tempo di ascolto ma anche di racconto, ad esempio attraverso l’uso di favole con animali o soggetti fantastici con cui il bambino possa facilmente identificarsi e che in maniera metaforica affrontino e superino difficoltà analoghe a quelle vissute da lui nell’attualità.
Per i bambini più grandicelli potrebbe essere di aiuto anche un quaderno in cui possano scrivere pensieri, domande, timori per le medicine o per interventi curativi.
Il quaderno potrà rappresentare per gli adulti (dottore e genitori) una sorta di filo di Arianna per orientarsi nel labirinto dello stato d’animo del bambino, oltre che essere un canale di comunicazione con lui.
Bisogna infatti ricordarsi che l’intervento educativo di un pediatra nei confronti di un bambino malato deve avere lo scopo di prevenire le future difficoltà e assicurare l’accettazione della malattia nei suoi limiti e nella sua cronicità, oltre a stimolare l’autonomia in generale e favorire la socializzazione e la fiducia nelle proprie potenzialità. Solo in questa maniera la malattia potrà diventare un’esperienza di crescita e non solo un accadimento dai contorni più o meno traumatici.
Tratto da: Gestione della crisi emotiva in pediatria.
Autore: Maria Esposito Salsano, pediatra.