Il dolore, purtroppo, può interessare anche i più piccoli. In questo caso i primi elementi da considerare sono la misurazione del dolore, che si avvale di opportune scale di valutazione, e la stima del suo impatto sul benessere del bambino, in termini di riduzione della vivacità e rinuncia alle attività da lui ritenute più piacevoli.
dolore
15 sintomi rilevanti che non vanno ignorati
Non è sempre facile tracciare la differenza tra un dolore minore ed uno intenso. Queste situazioni richiedono il parere del medico.
Lesioni del collo e della schiena
In caso di incidente stradale, da cadute o per tuffi tutte le vittime devono essere trattate come se avessero una lesione spinale. Di conseguenza le vittime potrebbero riportare anche una lesione alla testa, torpore, debolezza o sensazione di bruciore agli arti, paralisi delle braccia, deformità e dolori nei movimenti. È necessario esaminare la funzionalità spinale strisciando la pianta del piede verso l’alluce con una chiave o un altro oggetto appuntito. Se l’alluce si piega verso il basso la reazione è normale, se invece l’alluce si piegherà verso l’alto si tratta di una lesione spinale o cerebrale. A questo punto porre una serie di domande alla vittima cosciente:
- “Avverte dolore?” Le lesioni del collo irradiano il dolore alle braccia, le lesioni della parte superiore della parte della schiena irradiano il dolore lungo le costole, le lesioni della parte inferiore della schiena irradiano il dolore lungo le gambe.
- “Può muovere i piedi?” Il soccorritore deve chiedere alla vittima di muovere il piede contro la sua mano. Se non riesce in questo movimento, si tratta probabilmente di una lesione del midollo spinale.
- “Può muovere le dita?” Se la vittima è capace di muovere le dita, le vie nervose sono intatte.
Se la vittima è priva di coscienza cercare provocare delle reazioni stringendo le mani ed i piedi. L’assenza di reazioni potrebbe indicare un danno spinale.
Cosa fare?
- Controllare l’ABCHs e chiamare l’ambulanza.
- Lasciare la vittima nella posizione in cui si trova.
- Immobilizzare la vittima per impedire che si muova.
Se la vittima è distesa, afferrare la clavicola ed il muscolo trapezio della vittima e sollevare la testa tra il lato interno dei propri avanbracci. Mantenere la testa ed il collo immobili fino all’arrivo dell’ambulanza.
Fonte: Guida Tascabile di Pronto Soccorso di Mediserve
I sintomi mestruali riducono la produttività delle donne in età fertile
Per chi soffre di gotta dormire bene, spesso, è un sogno
Spiegare meglio al medico l’impatto dei sintomi della malattia reumatica sul riposo notturno è importante per ottimizzare la terapia e migliorare la qualità di vita.
La gotta è una malattia reumatica caratterizzata dal deposito di cristalli di acido urico all’interno delle articolazioni, che porta allo sviluppo di un’artrite infiammatoria cronica associata ad attacchi acuti ricorrenti estremamente dolorosi. Le terapie disponibili, unite ad alcuni accorgimenti dietetici e di stile di vita, permettono di ridurre la frequenza degli attacchi e di attenuare i sintomi della malattia quando si manifestano, ma non di eliminarli completamente.
Chi ne soffre, quindi, deve fare spesso i conti con dolore, bruciore e gonfiore, generalmente molto intensi e associati alla sostanziale impossibilità di muovere e utilizzare le articolazioni interessate (soprattutto, polsi/mani, gomiti, ginocchia o caviglie/piedi), sia durante il giorno sia durante la notte, per periodi che possono superare le 1-2 settimane.
Un recente studio condotto presso l’Università dell’Alabama (Stati Uniti) ha verificato che, oltre al disagio causato dalla malattia nella vita quotidiana, la maggioranza dei pazienti con gotta sperimenta anche una seria compromissione del sonno notturno, con tutto ciò che ne deriva in termini di stanchezza residua, nervosismo, calo delle prestazioni fisiche e intellettive durante il giorno. Come se non bastasse, poi, la deprisonno notturnoazione di sonno aumenta la sensibilità al dolore, peggiorando ulteriormente i fastidi. Insomma: un cane che si morde la coda e che può arrivare a farsi molto male, se l’interferenza sfavorevole tra dolore e sonno non viene prevenuta o, almeno, disinnescata precocemente.
Il primo passo per farlo è ottimizzare la terapia farmacologica di base e quella antinfiammatoria e antalgica indispensabile in caso di riacutizzazioni di gotta, ma da solo non basta. Lo stesso studio avverte, infatti, che non sono soltanto il dolore fisico e l’impossibilità di assumere una posizione confortevole a letto a impedire ai pazienti di dormire sonni tranquilli.
A interferire con l’addormentamento e a causare frequenti risvegli sono anche l’ansia e la depressione conseguenti alla preoccupazione per i sintomi dell’attacco acuto e per il fatto di soffrire di una malattia cronica “capricciosa” e imprevedibile, la necessità di alzarsi spesso per andare in bagno a urinare, gli effetti collaterali dei farmaci prescritti per controllare la malattia reumatica e, in una quota di pazienti, l’interferenza della gotta con la possibilità di gestire efficacemente la sindrome delle apnee ostruttive.
Secondo i ricercatori, per compensare tutti questi aspetti serve un approccio “allargato” che tenga conto dell’insieme dei disturbi sperimentati dal paziente e che preveda rimedi mirati in grado di alleviarli. A questo scopo, è indispensabile che i medici indaghino attivamente tutte le possibili criticità associate agli attacchi acuti di gotta e alle reazioni individuali ai farmaci prescritti, ma se non lo fanno devono essere i pazienti a segnalare con precisione tutti i sintomi fisici e psichici che provano, durante il giorno e durante la notte, e le loro variazioni nel tempo. Con un po’ di impegno da parte di entrambi e l’aderenza alle terapie prescritte la situazione migliorerà sicuramente.
Fonte
Singh JA et al. Any sleep is a dream far away: a nominal group study assessing how gout affects sleep. Rheumatology 2018;57(11):1925-1932. doi:10.1093/rheumatology/kex535
Le donne percepiscono maggiormente il dolore rispetto all’uomo
Percezione del dolore nelle donne e negli uomini
Le differenze tra uomo e donna sono sempre state oggetto di studi scientifici. L’essere umano di sesso maschile si differenzia molto da quello femminile, sia anatomicamente parlando sia dal punto di vista emotivo e psicologico. Secondo alcuni studiosi, uomini e donne avrebbero anche un differente approccio con il dolore fisico, che vedrebbe negli individui di sesso femminile una maggiore sensibilità rispetto ai soggetti maschili. Secondo alcuni dati infatti le percentuali che si riferiscono alla percezione del dolore di uomini e donne sono molto differenti. Nelle donne si va dal 45,6% al 56% mentre nell’uomo dal 32% al 44%. Queste differenze diventano ancora più significative sotto i 18 anni o negli individui over 65, in cui la percentuale femminile è del 40,1% contro il 23,7% maschile.
Ad avvalorare questi dati è la medicina di genere, con le parole di Marina Rizzo, neurologa degli ospedali riuniti di Palermo, secondo la quale “Le differenze tra i generi sono molte e molti sono i fattori che condizionano la diversa percezione tra maschi e femmine, in particolare per il dolore forte”. Secondo la dottoressa tra i principali fattori che influenzerebbero la percezione del dolore ci sarebbero gli ormoni sessuali: “Da studi clinici sembra che il testosterone abbia un’azione protettiva sul dolore. Si è vista l’associazione tra la diminuzione della concentrazione di androgeni e dolore cronico mentre l’utilizzo di ormoni estrogeni aumenta la percezione del dolore. Sono note poi le variazioni della sintomatologia dolorosa durante il ciclo mestruale”.
I recettori del dolore
Ad avvalorare la tesi della dott.ssa Rizzo ci sono le parole del dott. Diego Fornasari, farmacologo dell’ Università di Milano, che evidenzia le diversità a livello biologico tra uomo e donna nei meccanismo coinvolti nella regolazione e nella trasmissione del dolore a livello delle sinapsi, ovvero dei collegamenti che permettono la trasmissione degli impulsi dalle fibre nervose periferiche a quelle che portano l’impulso verso il sistema nervoso centrale. Spiega il dott. Fornasari: “Questa sinapsi è assolutamente fondamentale perché è qui che la storia di uno stimolo doloroso può essere grandemente modificata, per esempio nei processi di cronicizzazione del dolore. Abbiamo delle vie discendenti che modulano l’attività di questa sinapsi che si comportano come semafori che fanno passare gli impulsi. Su mille impulsi ne possono passare duecento oppure ne possono passare mille oppure, nella cronicizzazione, i mille impulsi possono essere percepiti come diecimila”. Questo meccanismo di controllo, secondo l’esperto, viene influenzato dall’area del cervello coinvolta nella vita emotiva, detta corteccia limbica, ed è proprio il diverso approccio all’emotività tra uomo e donna che ne differenzia di conseguenza anche la percezione del dolore. Per Fornasari infatti: “Esistono delle connessioni neuronali precise fra le aree della nostra vita emotiva e il dolore. Ecco che se ho una vita emotiva complessa, disturbata queste vie discendenti potrebbero funzionare meno bene”.