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Questo problema condiziona negativamente la qualità della vita in misura maggiore rispetto a pazienti affetti da problematiche cutanee anche più gravi, come la psoriasi. La presenza di malattie autoimmuni, soprattutto tiroidee, come la tiroidite di Hashimoto presente nel 10% dei casi, la celiachia e il diabete di tipo 1 sembra correlarsi a un maggior rischio di orticaria cronica spontanea. Per le ragioni sopraillustrate è facile intuire perché il riconoscimento della malattia sia spesso tardivo.

Diagnosi e terapie

Il percorso diagnostico procede innanzitutto con la ricerca di eventuali patologie associate all’orticaria. Secondo passo è cercare di evitare fattori che possono aggravare l’orticaria, come lo stress e soprattutto l’utilizzo di farmaci antinfiammatori non steroidei capaci di indurre una riacutizzazione o un aggravamento dell’orticaria nel 20-30% dei pazienti. L’approccio farmacologico prevede l’utilizzo di antistaminici di seconda generazione a dosaggio standard, che può essere raddoppiato o quadruplicato in caso di persistenza dei sintomi dopo 2-4 settimane di terapia.

Quale step successivo si fa ricorso a omalizumab, un farmaco biologico in grado di migliorare in molti casi la sintomatologia e probabilmente di modificare il decorso della malattia. Se necessario la quarta linea di trattamento si basa su immunosoppressori, come la ciclosporina A, e la quinta su montelukast, un antileucotrienico. A differenza di altre patologie croniche, non esiste ancora un registro nazionale dei pazienti e una rete organizzata di servizi e sussistono ancora numerose disparità interregionali e limiti alla copertura da parte del Servizio sanitario del trattamento con antistaminici (vengono infatti rimborsati soltanto al dosaggio standard) e omalizumab, previsto dal piano terapeutico per soli 6 mesi.

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