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Estinguere la fobia con una cura integrata

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Una recente ricerca pubblicata su PNAS, la rivista dell’Accademia americana delle scienze, dimostra che la combinazione di psicoterapia e cortisone in persone sofferenti di fobia specifica (nella fattispecie quella dei luoghi alti) è particolarmente efficace nell’estinguere la paura. Secondo le più recenti statistiche, circa il 30% degli statunitensi e circa il 16-20% degli europei, a un certo punto della vita, sperimentano un disordine ansioso. Il carico di sofferenza e di spese individuali e collettive è davvero notevole: decine di miliardi di dollari spesi ogni anno solo in USA per far fronte a quello che tecnicamente si chiama “spettro dell’ansia” e cioè  un’ampia varietà di disturbi su base ansiosa, tra cui primeggiano il Disturbo di panico e il Disturbo da stress post-traumatico. Ma anche le cosiddette fobie specifiche sono ampiamente diffuse e riguardano la paura della piazza (agorafobia), quella del sangue (ematofobia), del’acqua (idrofobia), degli animali (zoofobia), della contaminazione (misofobia), degli spazi chiusi (claustrofobia),  dei luoghi alti (acrofobia) e via dicendo.

Le cure

Per anni si è cercato di aiutare queste persone somministrando ansiolitici, ma con scarsissimi risultati. Dai primi anni ’80 viene sperimentata con successo una psicoterapia di tipo cognitivo comportamentale che, con varie modalità, espone il paziente allo stimolo che gli crea la fobia insegnandogli una strada di estinzione della memoria fobica. Di solito viene stabilita una sequenza di passi che gradualmente espone il paziente agli stimoli fobici. L’obiettivo è quello di abituare il paziente a praticare, in un ambiente protetto, quelle situazioni che di solito evita. Le modalità di esposizione possono basarsi sull’immaginazione – e cioè il paziente rievoca mentalmente le situazioni fobiche- oppure sull’esposizione diretta, in vivo, come si dice.

Per esempio, se una persona soffre di acrofobia, prima la si fa salire su un elevatore aperto che la porta ai primi piani, poi a piani più alti fino a farla salire sul tetto. Ovviamente questa procedura richiede un grosso impegno, anche di tempo, da parte del terapeuta e del paziente. Oggi è possibile inforcare un dispositivo dotato d’occhiali collegato a un computer e fare un viaggio di realtà virtuale, prendendo, virtualmente, ascensori, attraversando ponti sospesi sopra un burrone o affacciandosi dalla finestra del 44° piano. Ed è quello che ha fatto un gruppo di ricerca, guidato da neuroscienziati di Basilea, su 40 acrofobici. Con una novità: un’ora prima delle sedute di psicoterapia espositiva tutti hanno ricevuto una pillola, che però per una metà conteneva 20 mg di idrocortisone e per l’altra metà placebo. Il gruppo, che senza saperlo ha assunto cortisone, ha avuto risultati nettamente superiori a quelli, pur buoni, dell’altro gruppo.

Perchè il cortisolo

Come si spiega? Sappiamo da più di ottanta anni, dagli esperimenti di Pavlov sul condizionamento, che quando il cane sente il suono della campanella senza che sia accompagnato dall’offerta di cibo, in una prima fase ha un riflesso di salivazione e cioè si aspetta che, come è accaduto nella fase di condizionamento, a quel suono si accompagni  il cibo, ma se questo non accade, dopo un po’ smette di salivare e cioè il condizionamento si è estinto. Ma in realtà, come lo stesso Pavlov ha dimostrato, non si ha la cancellazione della memoria condizionata, bensì l’affiancamento ad essa di una nuova memoria.

Il cortisolo è l’ormone dello stress che è essenziale al processo di formazione dei ricordi. Senza uno stress positivo, senza attivazione mentale non si formano i ricordi. Lo stress è deleterio dopo, quando occorre richiamare il ricordo lavorato e archiviato. Nel gruppo di persone con acrofobia, la somministrazione, prima della psicoterapia, di un cortisone, l’idrocortisone, molto vicino a quello naturale, ha rafforzato la formazione di una nuova memoria che va a sostituire la vecchia traccia fobica.  Pare un ottimo esempio in cui medicina e psicologia si danno la mano per aiutare persone in difficoltà.

di Francesco Bottaccioli

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