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Gli attacchi di panico nell’adolescenza

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Gli attacchi di panico sono una delle sintomatologie tipiche dell’adolescenza. Disturbi d’ansia e attacchi di panico infatti rappresentano una delle ragioni prevalenti per cui viene richiesta una consulenza psicologica in questa fascia d’età.
Si tratta di una problematica da non sottovalutare: perché è dolorosa ed invalidante; rallenta o ostacola il fisiologico processo adolescenziale caratterizzato da separazione dalle figure genitoriali, acquisizione di autonomia e di identità; può attivare sintomi depressivi o la tendenza all’uso di sostanze psicoattive.

Tachicardia, vampate di calore, formicolii, nausea, mal di testa, difficoltà a respirare, pianto inconsolabile, paura di svenire, di perdere il controllo, di impazzire, di morire sono i sintomi che si possono manifestare, accanto a veri e propri fenomeni dissociativi, quali la derealizzazione e la depersonalizzazione.

Specifica è anche la strutturazione di circoli viziosi caratterizzati da ansia anticipatoria, evitamento, bisogno di rassicurazione. Il ragazzo cioè, va in ansia per la paura che possa ripetersi l’esperienza (paura della paura), mette in atto tutta una serie di stratagemmi per evitare situazioni potenzialmente pericolose (dall’andare a scuola, all’uscire con gli amici, a fare un viaggio ecc.) e ricerca degli schemi di comportamento o delle presenze rassicuranti. In un’età nella quale l’orizzonte personale dovrebbe ampliarsi verso l’esterno, si assiste invece ad una chiusura e ad un restringimento di interessi e di contatti.
La positiva e fisiologica funzione dell’ansia (attivazione delle risorse personali per far fronte ad una difficoltà) sembra perdere la capacità di regolazione per dare il posto ad una attivazione continua ed eccessiva rispetto alle situazioni da affrontare.

Teniamo conto che potremmo definire l’adolescenza una malattia fisiologica. Un periodo di transizione e di travaglio in cui un adolescente deve affrontare complessi e difficili passaggi di crescita.
E’ un’età nella quale si entra senza rete nel mondo reale.
Il fatto che ci sia un notevole aumento di questa sintomatologia (complice anche una tendenza a definire attacchi di panico anche momenti transitori e per molti aspetti parafisiologici di ansia) deriva sia dalla maggiore attenzione al benessere psicofisico dei ragazzi sia, paradossalmente, da un eccesso di attenzione da parte dei genitori nel proteggere durante l’infanzia i figli dalle frustrazioni (derivanti da conflitti, delusioni,  insuccessi). Conseguentemente  questi ragazzi, una volta diventati adolescenti, sono come catapultati in un mondo esterno “che non fa sconti”, senza aver avuto la possibilità di formare quegli anticorpi emotivi necessari per affrontarlo.
Sono ragazzi che hanno scarsa dimestichezza con alcune fondamentali categorie dell’esistenza quali il vuoto, la noia, l’incertezza, il conflitto. Cresciuti in un assetto dove predomina quello che Fornari definisce codice materno, una funzione affettiva (e conseguentemente anche educativa) di accoglimento, di soddisfacimento immediato del desiderio, piuttosto che il codice paterno, quello della norma, del limite, dell’attesa, del sacrificio e della rinuncia.
E questo riguarda anche la società nel suo complesso improntata al narcisismo e al suo corollario l’onnipotenza, ma al tempo stesso dominata dal senso di fallimento e dall’assenza di speranza e di futuro.
Gli stessi genitori del resto sono frequentemente fragili, insicuri, bisognosi in prima persona di rassicurazione e di conferme, con alte aspettative nei confronti dei loro figli. Questo non favorisce il superamento della infantile grandiosità narcisistica primaria (il reuccio e la principessina), anzi contribuisce a che i ragazzi abbiano aspettative molto alte in merito alle proprie perfomance e si attendano dagli altri riconoscimenti e comprensioni irrealistici. Quindi scarsa tolleranza alla frustrazione ed una sostanziale fragilità narcisistica concorrono nell’amplificare elementi che sono caratteristici dell’adolescenza quali la preoccupazione per il giudizio degli altri, la vergogna e la paura del fallimento, fino ad arrivare ad un vero e proprio blocco, di cui gli attacchi di panico sono l’espressione.

All’origine degli attacchi di panico c’è sempre una condizione di stress determinata da un cambiamento del proprio assetto di vita e della percezione di sicurezza.
Molteplici possono essere gli eventi che determinano questa condizione: il tradimento di un amico o del ragazzo/a, la morte di una persona vicina, una malattia, un episodio vissuto come foriero di insicurezza ed instabilità o un eccesso di ansia prestazionale (a scuola, con i professori, nei rapporti con i coetanei).

In questo particolare momento storico inoltre, la paura legata alla pandemia, l’isolamento, la DAD (Didattica A Distanza) contribuiscono allo stress facendo aumentare in maniera esponenziale insicurezza, rabbia, senso di solitudine e inadeguatezza, con conseguenti difficoltà di attenzione- concentrazione, alterazione del ritmo sonno-veglia, calo di impegno, comportamenti di iper-controllo ecc…
Tutte queste condizioni rimandano ad uno stato che in termini psicologici si chiama di lutto e che ha a che fare con una perdita temporanea o definitiva, reale o fantasmatica. Quindi non solo la morte concreta, ma il crollo di un sogno, di un ideale, di un progetto, di una certezza, tante volte anche di un’illusione.
Del resto l’adolescenza è di per sé un’età di lutto: il lutto dell’età precedente, la rinuncia quindi all’onnipotenza, all’immagine forte dei propri genitori, alla rassicurante condizione di “piccolo”, per sperimentare la solitudine del mondo e dell’essere. Impattare con la morte (nei termini ampi che abbiamo detto) può avere un effetto deflagrante nella sua logica assolutistica: se si deve morire allora è inutile vivere. Così come: se il mio corpo non è perfetto è inutile curarlo o ancora se esiste il tradimento allora è pericoloso amare.
La morte, la malattia, l’errore sono vissuti appunto come un tradimento, uno sfregio ed un insanabile attacco alla completezza, integrità e perfezione ideali. Tutte le certezze sono rase al suolo. Di fronte all’indeterminatezza prevale il senso di devastazione, il panico bloccante ed invalidante. L’unica possibilità è allora è accompagnare l’adolescente (a volte separatamente anche i genitori) in un lavoro di riconoscimento, accettazione e valorizzazione del limite (proprio ed altrui), della possibilità di errore, della parzialità (della vita, dei rapporti, dei sentimenti) perché questi concetti sono inscindibili dalla vita e dal vivere.

Gli attacchi di panico dunque, come tutte le manifestazioni sintomatiche, sono degli importanti segnali che vanno decodificati, che richiedono attenzione ed un atteggiamento di accoglienza non di cancellazione/tacitazione. L’idea di farli scomparire, che non si ripresentino più, non solo è irrealistica ma significa soprattutto mancare un’opportunità. L’opportunità di acquisire una conoscenza un po’ più profonda di se stessi, dei propri limiti e delle proprie potenzialità. Inoltre, se è vero che niente e nessuno  potrà garantire che non si avrà mai più un attacco di panico, ci si può sentire più competenti ed attrezzati nell’eventualità che si ripresenti perché si sa già di cosa si tratta,  se ne può comprendere il senso (che fa sempre riferimento ad altri ambiti della vita e all’atteggiamento nell’affrontarli), si sa che passa, che si ha la capacità di farvi fronte ed è indicativo della complessità, ricchezza, sensibilità ed unicità del proprio mondo interiore.

Accanto ad una consulenza psicologica, cosa si può consigliare ad un adolescente da mettere in pratica nell’immediatezza della crisi?

  • Cercare una condizione fisicamente comoda e tranquilla, ad esempio sedersi con la schiena ben appoggiata in un luogo appartato.
  • Distendere per quanto è possibile i muscoli.
  • Cercare di rallentare la corsa dei pensieri, concentrandosi su un pensiero alla volta e mantenendo in sottofondo la fiducia che “non c’è pericolo e tutto passerà”.
  • Porre molta attenzione al proprio respiro: inspirare dal naso ed espirare lentamente, per quanto possibile, dalla bocca, focalizzandosi sull’aria che entra ed esce, entra fresca ed esce calda.
  • Accogliere con gioia il rallentamento del ritmo di respiro

E cosa consigliare al genitore?

  • Cercare di non spaventarsi (questo amplificherebbe la paura del figlio).
  • Non vivere le difficoltà del figlio come una propria colpa o una dimostrazione della inadeguatezza genitoriale
  • Considerare l’ansia come un fenomeno “umano”, che tutti provano, di cui non c’è da vergognarsi e che può aiutare a capire qualcosa in più di se stessi e della propria situazione
  • Riflettere sulle aspettative che si ha nei confronti del figlio
  • Rassicurare il figlio sulla possibilità di tollerare l’incertezza e di affrontare una situazione temuta
  • Valorizzare l’errore come elemento di esperienza, di correzione e di riparazione.

Di Marisa D’Arrigo.

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