John Josselyn, viaggiatore e scrittore inglese, nei suoi libri descriveva la colonia fondata dai Padri Pellegrini, gli usi e i costumi locali. Nel suo diario del 1663, Josselyn raccontava che gli indiani e gli inglesi facevano grande uso di bacche di cranberry (mirtillo rosso secondo la traduzione in italiano), facendole bollire con lo zucchero per ottenere una deliziosa salsa da accompagnare alla carne di cervo. Ancora oggi durante il Thanksgiving Day non manca sulle tavole americane la cranberry sauce, che accompagna il tacchino secondo una tradizione secolare che si tramanda di famiglia in famiglia.
I padri fondatori avevano appreso le virtù naturali del mirtillo rosso dalle pacifiche tribù di Indiani Pellerossa. I nativi americani chiamavano “ibimi” le bacche rosse del mirtillo e utilizzavano i suoi frutti in modi diversi: mangiavano le bacche crude o con l’aggiunta di sciroppo d’acero, oppure le mescolavano alla carne da essiccare. Il succo delle bacche veniva utilizzato anche per tingere i capelli, coperte e tessuti.
Gli Sciamani ritenevano che il mirtillo palustre fosse un frutto sacro, ed infatti lo utilizzavano nei loro riti propiziatori e gli attribuivano capacità curative e benefiche.
Nel XVII secolo i colonizzatori bianchi scoprirono altri effetti benefici per la salute dell’uomo. I cacciatori di balene e i marinai impararono ad utilizzare i cranberry per prevenire lo scorbuto, la malattia che insorge in seguito ad una carenza di vitamina C. Da quel momento chiunque si avventurasse verso l’oceano, si procurava botti di cranberries conservati in acqua gelida. La prima volta che fu utilizzata questa parola, fu nel 1647 da John Eliot, il quale in una sua lettera descriveva le caratteristiche del mirtillo rosso.
In realtà furono i coloni olandesi e inglesi a dare ai mirtilli di palude il nome di “crane berries” che voleva significare “bacche della gru”.
Fonte: Il Cranberry – Un frutto che non finisce mai di stupire (Mediserve)