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Restando all’interno dei social media, le ricerche degli ultimi anni si focalizzano su un fenomeno in grande espansione: il sexting.
Definito come l’invio tramite dispositivo dotato di internet di messaggi di testo, immagini e video ritraenti la persona che invia questi file in atteggiamenti sessualmente espliciti, il sexting è attivo soprattutto su social media che offrono una chat di messaggistica e apre un dibattito sulle possibili cause e conseguenze di uno scorretto utilizzo.
Se infatti da una parte il sexting potrebbe essere considerato come un modo per esprimere la propria sessualità e iniziare un’attività sessuale migliorare la relazione con il partner, soprattutto nel caso di relazioni stabili o a distanza, e distrarsi dalla noia, dall’altra questo tipo di pratica, soprattutto nelle sue forme più problematiche, potrebbe portare a episodi di cyberbullismo, danneggiamento della reputazione, coercizione e revenge porn, trattato nei prossimi paragrafi.

Ma cos’è realmente il sexting?
Uno spunto molto interessante lo forniscono Roberts e Ravn (2019), che attraverso 10 focus group con giovani adulti maschi (dai 18 ai 22 anni), aprono una discussione focalizzata sulla definizione del fenomeno. È emerso che i ragazzi ritengono che fare sexting con una persona faccia parte della normale vita sessuale degli adolescenti e giovani adulti, che per la maggior parte delle persone è molto chiaro il confine tra sexting e molestie, così come, seppur spesso implicito, il consenso di entrambe le parti.

È stato stimato che il 15-30% degli adolescenti e il 40-60% di adulti e giovani adulti inviano messaggi di tipo sexting.
In Italia, un recente studio descrive percentuali leggermente più basse: all’interno della popolazione di età compresa tra i 18 e i 40 anni, il 37.5% delle persone inviano tramite smartphone immagini sessualmente esplicite. Non sembrano esserci infine correlazioni con comportamenti sessuali a rischio o benessere psicosociale.
La letteratura riporta che le prevalenze sia nel ricevere che nell’inviare sono più alte per gli adulti rispetto agli adolescenti e che in entrambe le popolazioni il numero di messaggi di sexting ricevuti è maggiore rispetto a quelli inviati, ma sottolinea anche un aspetto preoccupante del fenomeno: il 12% degli adolescenti inoltra messaggi di sexting a terze persone senza il consenso del mittente.
Questo comportamento rientra nelle forme più problematiche del sexting, ossia il nonconsensual forwarding e il pressured sexting.
Mentre la prima fa riferimento appunto a tutti quei messaggi che vengono condivisi con altre persone al di fuori della chat di partenza, senza il consenso della persona che li ha inviati, la seconda è una vera e propria forma di coercizione che va contro la volontà del soggetto a cui viene imposta.

Il fenomeno del pressured sexting colpisce entrambi i generi: i dati più recenti mostrano che quasi il 30% (26.3% per le donne e 28.4% per gli uomini) di un campione di più di 4200 partecipanti dai 16 ai 49 anni ammette di essersi sentito almeno una volta sotto pressione nell’inviare una foto o un video con contenuto sessualmente esplicito. Suddividendo le diverse età, le persone che maggiormente dichiarano di esseri sentite forzate a inviare selfie espliciti sono le fasce 16-19 anni (40.6%) e 20-29 anni (39.1%). Le conseguenze dell’essere forzati a mandare e/o ricevere messaggi con contenuti sessuali sono di tipo emotivo (emozioni negative) e sociale.

Per quanto riguarda invece il nonconsensual forwarding, gli studi di Henry e colleghi (2019) stimano che il 9.2% delle donne e il 12.5% degli uomini dichiara di aver subito questo fenomeno. Il nonconsensual forwarding è anche correlato con esperienze di coercizione offline: ragazze adolescenti che hanno subito episodi di coercizione nella loro vita confermano di aver ricevuto un messaggio di sexting senza aver dato il consenso.

Appare chiaro quindi che, per quanto riguarda l’educazione sessuale e in particolar modo la condivisione di immagini e video personali con contenuti sessualmente espliciti, non sia possibile né giudicare del tutto negativamente il fenomeno del sexting, né al contrario appoggiarlo o crederlo auspicabile. È necessario quindi concentrare la riflessione non tanto sull’astinenza dalla pratica, quanto piuttosto su tutti quei risvolti psicologici e sociali che derivano da un uso sconsiderato e inappropriato di questo tipo di comunicazione: è fondamentale far comprendere che la condivisione di questo tipo di contenuti è purtroppo incontrollabile, così come il rischio di rapida diffusione, rendendo impossibile la rintracciabilità e la definitiva eliminazione.
È inoltre evidente che l’accessibilità a questo tipo di contenuti sia estremamente facile. Un esempio è la ricerca su snap amatoriali sessualmente espliciti svolta da Yockey e colleghi.
L’obiettivo dello studio è quello di verificare come viene rappresentata la sessualità all’interno di un account Snapchat rivolto a ragazzi statunitensi che vanno al college, partendo dal presupposto che soprattutto negli Usa questo social venga utilizzato anche per la condivisione di messaggi di sexting, nudes e conversazioni sessualmente esplicite.
Questa ipotesi nasce dal fatto che Snapchat possiede una chat di messaggistica peculiare rispetto agli altri social media, in quanto i contenuti audio-visivi sono disponibili all’interno della chat solo per un periodo limitato di tempo. Spesso gli utenti sfruttano questa caratteristica credendo che così sia più difficile condividerne esternamente i contenuti. In realtà è possibile, tramite screenshot e altre applicazioni, estrapolare i media dalla conversazione rendendo di fatto Snapchat non più sicuro di altre piattaforme.
Dopo un periodo di tre mesi, gli autori hanno verificato che all’interno dell’account sono stati inviati 394 snap con contenuto sessuale. Di questi, l’86.6% ritraeva solo donne. Il 78% di questi contenuti è stato ritenuto dagli autori consensuale, mentre il 22% non consensuale. Il 40% di tutti gli snap ritraeva persone nude, pre, durante e post atto sessuale, anche in questo caso prevalentemente donne. Gli snap sono infine accompagnati da descrizioni o hashtag con chiari ed espliciti riferimenti sessuali.

Considerato che la pratica di fare foto e video durante i rapporti sessuali è presente e diffusa anche in Italia questa ricerca risulta molto interessante per comprendere quanto facilmente siano condivisibili e accessibili contenuti sessualmente espliciti, indirizzati soprattutto ad utenti maschi, e come questi contenuti potrebbero aumentare il rischio di degradazione e oggettificazione del corpo femminile e possibili interazioni pericolose dovute alla pubblicazione di questo tipo di immagini.

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