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Farmaci pro-aritmici: serve più attenzione

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La sindrome del QT lungo congenita è una condizione cardiaca presente fin dalla nascita che consiste essenzialmente in un “difetto di ripolarizzazione”, ossia in un’alterazione elettrofisiologica che comporta un allungamento del tempo necessario affinché le cellule del cuore possano “ricaricarsi” dopo la contrazione dei ventricoli. Il nome della malattia deriva dal fatto che questo maggior tempo di ripolarizzazione può essere visto sul tracciato dell’elettrocardiogramma (ECG) come l’allungamento di un particolare segmento chiamato appunto “QT”.

Di per sé, la sindrome del QT lungo non dà sintomi e per questa ragione è poco diagnosticata, se non in occasione di elettrocardiogrammi richiesti per altre ragioni, come esami pre-operatori, check-up preliminari alla pratica sportiva, svenimenti apparentemente immotivati o disturbi cardiologici di altra natura. Purtroppo, quando si manifesta lo fa in modo eclatante, con fibrillazione ventricolare, arresto cardiaco e morte improvvisa. A scatenare questi effetti possono essere uno sforzo fisico o un’emozione molto intensi oppure uno spavento o un risveglio improvviso nel cuore della notte. Ma, talvolta, l’aritmia fatale può insorgere anche durante il sonno.

A oggi, non esistono cure vere e proprie per la sindrome del QT lungo, ma esistono alcuni accorgimenti che possono aiutare a ridurre i rischi. Tra questi, uno molto importante riguarda i farmaci che può essere necessario assumere nel corso della vita per le ragioni più diverse: dagli antibiotici agli analgesici, dagli antiacidi agli antidepressivi. Molti farmaci d’uso comune, infatti, tendono ad avere un’azione “pro-aritmica”, ossia a favorire alterazioni transitorie del ritmo cardiaco. In persone senza sindrome del QT lungo, in genere, ciò non crea particolari problemi (salvo forse qualche palpitazione in corso di terapia). Al contrario, se ad assumere un farmaco pro-aritmico è una persona con sindrome del QT lungo, il rischio di fibrillazione ventricolare e di morte improvvisa aumentano sensibilmente.

Per questa ragione, le linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) dedicate a questa patologia raccomandano da tempo, e con forza, che farmaci notoriamente pro-aritmici non siano prescritti a chi ne soffre, optando, ove possibile, per soluzioni terapeutiche alternative prive di effetti a livello cardiaco. In pratica clinica, tuttavia, queste raccomandazioni sembrano essere ampiamente disattese. In particolare, un recente studio danese indica che al 60% delle persone con sindrome del QT lungo congenita vengono prescritti i farmaci pro-aritmici negli anni successivi alla diagnosi, anche per periodi prolungati.

I farmaci “a rischio aritmia” maggiormente prescritti sono risultati essere alcuni antibiotici (come azitromicina, claritromicina ed eritromicina; 34,1%), antiacidi inibitori della pompa protonica (esomeprazolo, lanzoprazolo, omeprazolo, pantoprazolo; 15,0%), antidepressivi (citalopram, escitalopram, sertralina; 12,0%) e antimicotici (fluconazolo; 10,2%). Le persone considerate nello studio avevano una probabilità minore di vedersi prescrivere i farmaci pro-aritmici nell’anno successivo alla diagnosi di sindrome del QT lungo congenita rispetto all’anno precedente, ma non di molto (28,4% vs 23,2%), mentre in oltre un terzo dei casi (33,5%) la terapia farmacologica a rischio era ancora in corso dopo cinque anni. La probabilità di prescrizione di farmaci a rischio aumentava leggermente con l’età e si moltiplicava di oltre 2,5 volte quando lo stesso farmaco era già stato assunto dal paziente in precedenza (probabilmente, sulla scorta di una erronea rassicurazione rispetto ai possibili effetti collaterali a livello cardiaco).

Benché lo studio non abbia evidenziato una correlazione tra uso di farmaci pro-aritmici e aumento della mortalità per aritmia ventricolare o per tutte le cause, gli Autori e gli esperti della ESC sollecitano maggiore cautela da parte dei medici al momento della prescrizione di terapie farmacologiche potenzialmente a rischio in chi soffre di sindrome del QT lungo congenita. D’altro canto, anche i pazienti con diagnosi nota devono ricordare di informare sempre della problematica cardiaca di cui soffrono eventuali medici specialisti da cui si recano spontaneamente per consulti in vari ambiti clinici, per permettergli di individuare strategie di cura ottimali e sicure.

In aggiunta, chi soffre di sindrome del QT lungo congenita dovrebbe sempre chiedere consiglio al medico e/o al farmacista anche quando si tratta di scegliere farmaci da banco d’uso comune considerati generalmente sicuri e maneggevoli: benché effettivamente lo siano per gran parte delle persone, alcuni di essi potrebbero essere controindicati in chi è geneticamente predisposto alle aritmie cardiache (è il caso, per esempio, di alcuni antistaminici).

Fonte:

Weeke PE et al. Long-termproarrhythmic pharmacotherapy among patients with congenital longQT syndrome and risk of arrhythmia and mortality. European Heart Journal 2019;40, 3110-3117. doi:10.1093/eurheartj/ehz228 (academic.oup.com/eurheartj/article/40/37/3110/5488147)

 

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