Le piante parlano! Si tratta di un linguaggio silenzioso, ma molto efficace. Nel mondo vegetale la comunicazione è indispensabile sia per riconoscere organismi appartenenti alla propria specie sia per tenere a distanza quelli pericolosi.
Per chi non ha la possibilità di spostarsi, soprattutto in caso di pericolo è necessario farsi intendere molto chiaramente.
Il linguaggio delle piante è basato su parole molto particolari, cioè molecole chimiche che vengono elaborate e rilasciate nell’ambiente per trasmettere ad altri organismi indicazioni ben precise. Un esempio noto a tutti è la comunicazione che le piante a fiore utilizzano per attirare a sé gli insetti impollinatori: non soltanto colori accesi e profumi inebrianti (percepibili ed attraenti anche per i nostri organi di senso non più così abituati ai richiami della natura), ma anche tonalità ultraviolette ed eteree fragranze, impercettibili per noi ma rilevabili a notevole distanza dalle antenne degli insetti.
Nelle orchidee spesso i messaggi sono indirizzati ad una precisa specie di insetto, quindi le sostanze prodotte per attirarla sono specifiche; i profumi delle specie appartenenti al genere Ophrys, in particolare, sono molto studiati: le miscele differiscono da specie a specie e sono molto complesse, in alcuni casi addirittura imitano dal punto di vista chimico le molecole degli ormoni sessuali femminili di una certa specie di ape allo scopo di attirare i maschi impollinatori promettendo loro un accoppiamento improbabile!
Le fragranze vengono prodotte in speciali luoghi chiamati osmofori: si tratta di ghiandole nelle quali vengono elaborate le sostanze volatili; esse si trovano soprattutto nei petali e da qui il profumo viene rilasciato attraverso formazioni epidermiche, come ad esempio i peli ghiandolari.
Dal punto di vista chimico sono varie le sostanze rilasciate dalle piante: alcune derivano dall’isoprene, molecola organica incolore volatile, come per esempio il geraniolo (formato da catene aperte di atomi), il mentolo e la canfora (con gli atomi connessi a formare rispettivamente una struttura ciclica singola e doppia). Altre derivano dal benzene, molecola precursore dei cosiddetti “composti aromatici”, caratterizzati da una struttura ad anello esagonale. Una sostanza aromatica ben conosciuta è la vanillina, presente nei frutti della Vanilla planifolia, ma anche nei bulbi della Dahlia, nell’asparago e in altri fiori, e sintetizzata artificialmente per via industriale come aroma nella produzione dei dolci.
Per raggiungere i propri scopi le piante possono utilizzare il loro linguaggio chimico per attirare anche organismi molto primitivi come i batteri, i quali spesso vivono a stretto contatto con le radici (batteri della “rizosfera”); alcuni stabiliscono in particolare relazioni con le leguminose, che riconoscono grazie a sostanze chiamate lectine, delle proteine con la funzione di riconoscimento dei polisaccaridi presenti sulle membrane cellulari; questo meccanismo è molto utile per accertarsi di essere a contatto con gli organismi giusti.
Una volta avvenuto il riconoscimento, i batteri penetrano nella corteccia della radice attraverso i peli radicali e successivamente la pianta provvede a incapsulare questi microscopici organismi che si ritroverranno avvolti da una membrana all’interno dei cosiddetti “tubercoli radicali”. Questa stretta relazione è uno degli esempi più noti di simbiosi mutualistica che si instaura proprio attraverso la comunicazione tra pianta e batterio.
In questa simbiosi i batteri ricevono dalla pianta nutrimento sotto forma di carboidrati e ricambiano cedendo i prodotti della fissazione dell’azoto tanto utili alla pianta.
Ma in natura non tutti gli esseri sono graditi, alcune specie anzi, possono risultare dannose in quanto tendono a parassitare e danneggiare senza dare nulla in cambio. In questo caso le piante producono vari tipi di composti in seguito a lesioni o infezioni da parte di patogeni, danno inizio ad una silenziosa battaglia fatta di un “botta e risposta” di segnali chimici per tenere a distanza questi nemici. Le fitoalessine sono un esempio tipico di questi segnali chimici: vengono sintetizzate dalle piante di patate affette da microrganismi fungini patogeni.
Questo “battibecco” tra pianta e patogeno dimostra che le piante sono anche in grado di ascoltare in quanto, come in tutti gli scambi di informazioni, c’è bisogno di un’entità che trasmetta segnali specifici e di una che li riconosca ed attivi successivamente dei meccanismi adatti di difesa. Tutto ciò mostra la “sensibilità” delle piante, intesa come capacità di “sentire” l’ambiente che le circonda e di interagire con esso.
E a noi esseri umani, cosa dicono le piante? Probabilmente gli “argomenti” sono molto simili a quelli esposti agli altri animali; forse le sostanze volatili che elaborano per mantenere le distanze di sicurezza sono le stesse ma noi non siamo più (o non siamo mai stati) in grado di riconoscerle, ed abbiamo bisogno di distanziatori tangibili quali spine o aculei. Veniamo sicuramente attratti dalla loro bellezza, dall’eleganza di un portamento arboreo, dai fiori, dai frutti e dal rilassante benessere che si prova guardando una distesa verde; anche se non siamo in grado di “ascoltarle” nel dettaglio, l’aver capito che esiste un linguaggio vegetale è già un primo passo.