“Dum spiro spero” può essere un semplice aforisma, ma pone un punto fermo sulla terapia del paziente avvelenato, in quanto ogni deficit di ossigenazione del paziente può compromettere il suo recupero.
Se non c’è ostruzione delle vie aeree ed il colore di pelle e mucose è buono, allora non c’è motivo di intervenire. Solitamente, però, il paziente deve essere posto in posizione adeguata, senza impedimenti esterni alla respirazione e tenuto sotto osservazione. Nel momento in cui sia evidente un deficit respiratorio, è necessario essere sicuri della pervietà delle vie aeree, rimuovendo eventuali protesi dentarie. Se il paziente, invece, è in coma, è meglio introdurre una cannula endotracheale con palloncino gonfiabile di dimensioni adeguate. Se presenta secrezioni devono essere aspirate.
Terapia intensiva
Un paziente, se dispnoico dovrebbe essere ricoverato in ospedale e sottoposto a terapia intensiva. Lo scopo non è solo quello di ripristinare una ossigenazione adeguata, ma anche in grado di provvedere alle complicanze bronco-polmonari che possono instaurarsi rapidamente. Nel soggetto in stato di coma il valore del tubo endotracheale con palloncino gonfiabile è stato enfatizzato; è importante prestare attenzione ad evitare che il tubo scenda nel bronco principale di destra, dando origine ad un pneumotorace in un lato e ad un collasso polmonare nell’altro. L’aria inspirata deve essere umidificata e se c’è ipotermia, anche riscaldata. Le complicanze respiratorie possono essere una minaccia per il recupero del paziente in terapia intensiva, per cui bisogna impegnarsi per prevenirle.
Fonte: Vademecum di terapia degli avvelenamenti di Roy Goulding