Quando si parla di sicurezza sui luoghi di lavoro si è portati a pensare soprattutto agli incidenti che possono verificarsi mentre si utilizzano macchinari e attrezzi, mentre si è alla guida di autoveicoli, per contatto accidentale con sostanze irritanti/corrosive o comunque in grado di determinare danni immediati ed evidenti all’organismo, oppure a traumi e cadute.
L’attenzione dedicata alla qualità dell’aria respirata in fabbriche, cantieri o aree caratterizzate da un elevato inquinamento atmosferico, chimico o da combustione di idrocarburi o altri materiali, tende invece a essere molto bassa, nonostante siano ben noti gli effetti lesivi sull’apparato respiratorio di molti gas, fumi e polveri più o meno fini.
A sottolineare l’importanza di aumentare le cautele e le misure di protezione da sostanze tossiche atmosferiche per le persone impiegate in realtà lavorative a rischio sono le due principali società scientifiche internazionali che si occupano di medicina respiratoria: l’European Respiratory Society (ERS) e l’American Thoracic Society (ATS).
Effettuando un’estesa revisione dei principali studi sull’argomento pubblicati in letteratura, gli esperti ERS/ATS hanno riscontrato che chi lavora (e respira) in luoghi a rischio ha una probabilità decisamente elevata di sviluppare numerose malattie respiratorie croniche, caratterizzate da un elevato impatto sulla salute, sulla produttività e sulla spesa sanitaria che i Paesi devono sostenere per offrire cure e assistenza appropriate.
Anche senza considerare le neoplasie dell’apparato respiratorio (che non erano oggetto della ricerca), le ripercussioni sociosanitarie appaiono enormi, anche in termini di invalidità e mortalità associate.
In particolare, le patologie respiratorie croniche più frequenti promosse dall’esposizione lavorativa sono la sarcoidosi e altre malattie granulomatose (30%); la proteinosi alveolare (29%), la fibrosi polmonare idiopatica (26%), la polmonite da ipersensibilità (19%), l’asma (16%), la broncopneumopatia cronica ostruttiva – BPCO (14%), la bronchite cronica (13%), la polmonite acquisita in comunità in età lavorativa (10%) e la tubercolosi (2,3% nei lavoratori esposti alla silice; 1% tra chi lavora in ambito sanitario).
In molti casi, si tratta di patologie che causano danni/disfunzioni non reversibili, a evoluzione progressiva e tendenzialmente invalidanti, nonché spesso prive di soluzioni terapeutiche adeguate e tali da ridurre non soltanto la qualità di vita in modo sostanziale, ma anche la sua durata.
A fronte di questi esiti, gli esperti ERS/ATS raccomandano una tempestiva adozione di misure adeguate per ridurre la produzione di composti volatili a rischio sui luoghi di lavoro e l’introduzione di misure protettive efficaci, in grado di tutelare il più possibile l’apparato respiratorio di tutti coloro che devono necessariamente svolgere la loro attività professionale in ambienti a rischio. Saranno ascoltati?
In attesa di una risposta legislativa da parte dei governi e di una reazione positiva da parte dei datori di lavoro, conviene essere consapevoli dei rischi per la salute che si possono correre in relazione al tipo e al luogo di lavoro che si svolge e non trascurare nessuna delle misure di sicurezza già previste, chiedendone fermamente il miglioramento laddove insufficienti. In aggiunta, è cruciale fare attenzione a ogni disturbo respiratorio che tenda a persistere oltre 7-14 giorni o a ripresentarsi spesso e sottoporlo alla valutazione medica, precisando il proprio contesto professionale.
Fonte
Blanc PD et al. The Occupational Burden of Nonmalignant Respiratory Diseases An Official American Thoracic Society and European Respiratory Society Statement. Am J Respir Crit Care Med 2019;199(11):1312-1334. doi:10.1164/rccm.201904-0717ST (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6543721/)