Nel generale silenzio dei media occidentali, nella Repubblica Democratica del Congo infuria da diverse settimane il secondo più grande focolaio di Ebola della storia, con centinaia di decessi.
Da quando, alla fine dell’estate, i primi pazienti sono stati diagnosticati nella provincia del Nord Kivu, esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e di altri gruppi che si occupano di salute pubblica hanno lavorato per contenere la diffusione del virus e, data l’emergenza, hanno fatto ricorso a diversi vaccini sperimentali, autorizzati per la somministrazione umana ancor prima dell’approvazione delle agenzie regolatorie, secondo un protocollo per uso compassionevole.
Una delle difficoltà nell’impedire la diffusione dei focolai del virus è la mancanza di test diagnostici rapidi e accurati. Attualmente occorre prelevare il sangue dai sospetti contagiati e inviare i campioni a un laboratorio per l’analisi: il processo richiede diversi giorni e durante questo intervallo di tempo le persone infette possono continuare a spostarsi all’interno della comunità anche quando dovrebbero essere messe in quarantena.
Come si può leggere su Science Translational Medicine, una svolta potenzialmente rivoluzionaria giunge da un team di ricerca internazionale che ha sviluppato un dispositivo portatile a batteria, in grado di rilevare la presenza di particelle di virus Ebola in un piccolo campione di sangue in meno di 30 minuti.
Nelle prime valutazioni, condotte sia su modello animale che umano, il dispositivo ha identificato correttamente il 90% dei casi di Ebola e ha fornito solo il 2,1% di falsi positivi.
I ricercatori sono rimasti sorpresi da un fatto imprevisto: anche se sviluppato per la diagnosi dell’Ebola, il test si è dimostrato in grado di indentificare la malaria, con il 100% di sensibilità e il 99,6% di specificità, e la febbre di Lassa.
Il test si avvale della spettroscopia Raman amplificata da superfici, comunemente chiamata Sers, una tecnica che sfrutta l’amplificazione della diffusione Raman da parte di molecole assorbite su una superficie irregolare di metallo: le cellule normali, i virus e il parassita della malaria riflettono la luce in modi diversi e riconoscibili, che il dispositivo è in grado di intercettare. «Se i risultati saranno confermati – hanno scritto gli autori – la tecnica potrà essere utile in caso di focolai di malattie infettive di tipo febbrile».