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La cannabis come medicina per le malattie neurologiche e psichiatriche

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Comunemente si definisce “droga leggera” per via dei suoi effetti edulcorati sul sistema nervoso centrale; in realtà, si tratta di una sostanza stupefacente vera e propria usata da tempo non solo per scopi “ricreativi”, ma anche medici e religiosi. Parliamo della cannabis (o canapa), una pianta angiosperma originaria dell’Afghanistan largamente coltivata in Asia, Europa e Africa. La cannabis si presenta in varie forme, tra cui l’“hashish”, la parte resinosa, e la “marijuana”, costituita dalle foglie e dai gambi della pianta essiccati e trinciati.

La storia

L’impiego della cannabis come medicina risale ad almeno 2500 anni fa e fu descritto nel primo trattato di farmacologia redatto in Cina. In Europa, l’ampia diffusione della cannabis è legata soprattutto al suo utilizzo in campo tessile, ma nel XVII e XVIII secolo fu usata anche in medicina come analgesico e sedativo. Numerosi gli scrittori e i poeti famosi che ne fecero uso, tra cui Verlaine, Rimbaud, Mallarmè,  Dumas, Baudelaire, Balzac, Hugo e Shakespeare. In Italia fu Raffaele Valieri, medico dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli, a far conoscere le proprietà della cannabis in campo medico. Dal 2015, nel nostro Paese è stata legalizzata la coltivazione delle piante di cannabis da utilizzare per la preparazione di medicinali. Tuttavia, la cannabis non è ancora considerata una vera e propria terapia, ma un trattamento di supporto a quelli standard quando questi ultimi non hanno prodotto gli effetti desiderati o hanno determinato effetti secondari non tollerabili.

L’uso in medicina

La cannabis è attualmente la droga più utilizzata al mondo sia per il forte incremento nell’uso voluttuario sia per l’uso medico, specie per la cura di malattie neurologiche e psichiatriche, quali la sclerosi laterale amiotrofica, la sclerosi multipla, l’Alzheimer, il Parkinson, l’epilessia, il disturbo bipolare e la schizofrenia.
Prendiamo la malattia di Parkinson.  Studi scientifici recentissimi (2014 e 2015) sui malati trattati con estratti di cannabis hanno evidenziato significativi miglioramenti dei principali sintomi della malattia, quali tremore, rigidità e lentezza nei movimenti, ma anche di disturbi non motori, come alterazioni del ritmo sonno-veglia e dolore.
Per quanto riguarda l’impiego nel dolore, la cannabis è capace di migliorare il tono dell’umore e la qualità della vita nei soggetti affetti da HIV. Inoltre, negli ammalati di cancro la cannabis è in grado di combattere l’anoressia, la nausea e il vomito indotti dalla chemioterapia, come anche il dolore cronico, l’insonnia e la depressione del tono dell’umore.

Gli aspetti negativi

Appurate le sue qualità medicinali, la cannabis resta pur sempre una droga e, come tale, provoca effetti negativi, gravi e duraturi soprattutto nei giovani, in particolare in coloro che hanno cominciato ad assumere cannabis in età adolescenziale.
Dipendenza, turbe respiratorie, deficit della memoria, riduzione dell’attenzione e della concentrazione, turbe comportamentali, accentuazione di disturbi depressivi, ansiosi o psicotici sono tra gli eventi avversi più frequenti.
Nonostante le difficoltà nell’impiego terapeutico della cannabis, numerosi studi sul suo utilizzo medico continuano a essere condotti in tutto mondo. Tuttavia, spesso le conclusioni di tali ricerche non sembrano appropriate o correttamente applicabili nell’ambito della sanità pubblica. Negli studi effettuati, infatti, spesso mancano dati a supporto di un favorevole rapporto rischio/beneficio. Di qui le difficoltà nel redigere adeguati regolamenti o procedure per l’uso della cannabis in campo medico.

di Pietro Biagio Carrieri, Andrea Di Cesare, Massimo Persia

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