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Aneto

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Se lo annusate, avrete l’impressione di odorare un ibrido fra finocchio e anice. E resterete anche colpiti dal sentore piuttosto intenso, che taluni definiscono ‘puzzolente’. È l’aneto: una pianta aromatica e officinale annuale, originaria del Medio Oriente, ancora poco utilizzata in occidente, sebbene si stia diffondendo l’uso culinario. Vi sarà capitato magari di vedere su un bel trancio di salmone, qualche rametto finissimo, verde-azzurro, simile a un aghetto: ecco, è l’aneto. Conosciamolo meglio, allora.

Il nome botanico. Rivela già l’essenza di quest’erba; infatti agli addetti ai lavori è noto come Anethum graveolens L. Nome che deriva dal greco ‘ánethon’ e dal latino ‘anethum’, in italiano appunto aneto, da ‘aníemi’ che significa “io scaccio”. Sottointendete “i malori” probabilmente in riferimento all’suo terapeutico che se ne faceva fin dall’antichità, ne parleremo più avanti. Mentre graveolens deriva dal latino ‘gravis, -e’, che significa pesante, forte, e dal participio presente ‘olens’ (‘olere’), odorante, dunque riferito all’inteso sentore aromatico che l’aneto emana. Ecco spiegata la definizione di aneto odoroso o aneto puzzolente. In relazione al suo odore che si avvicina o si confonde con il finocchio, l’aneto è popolarmente noto anche come ‘finocchio bastardo’. Va detto però che il binomio Anethum graveolens, oggi universalmente accettato, lo si deve a Carl von Linné (1707 – 1778), biologo e scrittore svedese e considerato il padre della moderna classificazione degli organismi viventi, nel ‘700, che lo ha citato per la prima volta nella pubblicazione “Species Plantarum” del 1753.

In antichità. Si diceva che era già noto: proprio così. Lo nomina addirittura il Talmud, testo sacro dell’ebraismo, evidenziandone la diffusione e l’importanza, come anche il papiro di Ebers, parlando dell’uso terapeutico tra i Greci, secondo la cui scuola medica era in grado di evitare gli attacchi di epilessia o di vanificare i sortilegi nefasti stringendone un rametto nella mano sinistra, mentre i Romani ritenevano che potesse aiutare a potenziare la forza fisica a tal punto che i gladiatori lo aggiungevano in abbondanza ad ogni pietanza e si coronavano il capo con questa pianta come simbolo di gioia, mentre i legionari trattavano le ferite con i semi bruciati per favorirne la guarigione. Gli egiziani, come testimoniato dal ritrovamento di aneto essiccato in alcune tombe, lo utilizzavano che lo utilizzavano a scopo medico soprattutto per le sue proprietà digestive e antisettiche. È citato anche nel Vangelo secondo Matteo in cui si legge: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’aneto e del cumino e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà», mentre nella Bibbia viene descritto come pianta pregiata al punto da venir usata come moneta per il pagamento delle tasse. Ancora Aristotele e Teocrito, Virgilio e da Plinioodore lo menzionano come erba tra il finocchio e l’anice. In termini più dilettevoli, Marco Gavio Apicio, gastronomo, cuoco e scrittore romano vissuto fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., usava quest’erba secondo quanto trasmetto dalla storia in molte ricette, fra queste il pollo all’aneto. Pare che l’imperatore Carlo Magno consumasse l’aneto quasi tutti i giorni ritenendolo un potente afrodisiaco e un ottimo rinfrescante dell’alito, ma veniva anche impiegata per combattere la stregoneria e per la preparazione di filtri amorosi. Se ne parla poi nel medioevo, nel libro di “Casa Cerruti”: «Si usa seminare l’aneto negli orti, per mescolarlo agli altri erbaggi, che fa più saporosi e graditi al gusto. Il migliore è quello ben verdeggiante, tenero e fresco. Allo stomaco facile alle ventosità fa molto bene. Facilita anche il sonno, e si dice che per questo gli antichi lo ponessero nelle ghirlande…». Inoltre Insomma, questa pianta è stata utilizzata nelle civiltà del bacino del mediterraneo: dai popoli ebraici come ortaggio; dagli Egizi da più di 5.000 anni, come pianta medicinale; dai Greci e dai Romani per il suo profumo e le sue virtù medicinali.

Immaginatevi la pianta. L’Anethum graveolens L. appartiene alla famiglia delle Ombrellifere, più precisamente della Apiaceae: ha foglie formate da più foglioline filiformi disposte regolarmente, di colore verde-azzurro; fiori gialli, che appaiono verso la metà dell’estate, raccolti in infiorescenze ad ombrella dall’aroma più forte rispetto a quello delle foglie, ma più lieve e fresco di quello dei semi e sono un ‘forte’ richiamo per le api. I frutti sono diacheni, chiamati anche frutti secchi schizocarpici: sono molto piccoli, di forma ovale, appiattiti sul dorso, di colore bruno, con superficie liscia e glabra e contengono piccoli semi ovali di colore brunastro, simili a quelli del finocchio e capaci di germinare anche dopo tre anni dalla raccolta. Anche i semi sono aromatici, di forma alata, e una volta raggiunta la maturazione, tra agosto-settembre, si dividono in due parti. La pianta può raggiungere un’altezza variabile da 20 cm a un metro. C’è chi dice che l’aneto sia velenoso; no, è innocuo per l’uomo e gli animali domestici, tanto che nelle giuste dosi ed usi corretti ha proprietà terapeutiche. Forse questa connotazione deriva dal fatto che le foglie possono essere confuse con la cicuta, invece velenosissima e mortale: tanto che alcuni avvelenamenti con quest’erba sono passati alla storia, primo fra tutti quello del filosofo greco Socrate che bevve la cicuta dopo essere stato condannato a morte da una giuria ateniese, ma si sospetta che anche Mozart e Beethoven siano morti per avvelenamento (ma le prove sono poche) o ancora che cinque Papi, tra cui Clemente II nel 1049 e Giovanni Paolo I che morì misteriosamente dopo soli 33 giorni di pontificato, siano stati uccisi con la cicuta ma esistono anche casi più recenti.

Le origini. Originario del Medio Oriente, dell’India e della Persia, oggi l’aneto è diffuso come pianta selvatica anche in gran parte dell’Europa, in particolare nelle zone con clima abbastanza fresco, dall’Italia settentrionale fino alla Svezia. Si trova raramente al di sotto dei 600 metri, mentre sui rilievi cresce fino a 1.000 metri sopra il livello del mare, in un habitat dunque tra il collinare e il montano.

In cucina. Tra gli impieghi più comuni dell’aneto, c’è quello eno-gastronomico. Infatti è molto usato in Germania, nelle Isole britanniche, nell’Est Europeo, in Scandinavia, in Grecia famosissimo nella composizione del Tzatziki, una salsa a base di yogurt greco e cetrioli, mentre i semi vengono utilizzati per aromatizzare il pane e le cime per insaporire salse, marinate di pesce, formaggi come la feta, legumi, olio e aceto. In Cina lo si impiega nella preparazione dei ravioli cinesi, in India e in numerosi altri paesi del mondo, prevalentemente in piatti a base di pesce. In Italia comincia a essere usato negli anni ’80 con il salmone affumicato che ben si sposa con il sapore dell’aneto, ma anche nelle insalate, sulle patate lessate, nelle marinate, nella salsa per i pesci, per insaporire minestre e intingoli e sulla carne alla griglia, per accompagnare yogurt, panna acida e formaggi freschi. I semi, molto profumati, sono ideali per aromatizzare aceto e conserve. Ancora, Tedeschi e Ungheresi uniscono le foglioline ad altri aromi per la preparazione di sottaceti agrodolci; gli scandinavi lo usano per insaporire uova, salmone, patate e zuppe e le foglie, fresche o secche, per aromatizzare insalate, pesci, carni e salse mentre i semi per profumare liquori e confetture. Dai semi infine è possibile ricavare anche l’olio di aneto.

Coltivare l’aneto. Non presenta particolari difficoltà, ma occorre rispettare alcune richieste della pianta:

  • Esigenze climatiche. Ha bisogno di un clima mite, ovvero gradisce un ambiente caldo e soleggiato, con temperature primaverili fino a poter tollerare temperature di qualche grado sotto lo zero, ma in ogni caso, è preferibile riparare le piante in serra o comunque proteggerle. Per la coltivazione dell’aneto è dunque opportuno scegliere una zona del terreno (giardino o orto) o del balcone soleggiata, tenendolo tuttavia al riparo da forti venti e zone umide. Dunque avete capito che lo si può coltivare in pieno campo, dove la pianta diventa rigogliosa con facilità, con vegetazione ricca e intensa, fino a raggiungere anche il metro di altezza, ma anche in vaso.
  • Irrigazione. Dipende dalla modalità di coltivazione: in pieno campo l’apporto idrico non è necessario, a meno che la stagione non si eccessivamente calda e secca quando sono richieste irrigazioni d’emergenza, mentre in vaso l’irrigazione dovrà essere garantita specie nei mesi estivi della fioritura. In vaso le dimensioni della pianta restano limitate e non raggiungono altezze elevate. Generalmente: in primavera si irriga 2 volte la settimana, solo quando il terreno è completamente asciutto da più giorni mentre in estate anche a giorni alterni, innaffiando nelle prime ore del mattino o dopo il tramonto.
  • Il terreno. L’aneto preferisce un terriccio a composizione sabbiosa, con una buona dotazione di sostanza organica e un pH neutro o leggermente basico. Inoltre prima della semina va attentamente preparato con una concimazione di fondo leggera, usando del compost domestico o humus di lombrico.

La semina. Il periodo ideale è fine inverno-inizio primavera, tra marzo e aprile. Si effettua a spaglio, interrando i semi con un rastrello a circa 2-3 cm di profondità, con una distanza tra una fila e l’altra di almeno di 40 cm. Alla comparsa, le piante vanno diradate mantenendo una distanza di almeno 5 cm, conteggiando circa 15-20 piante per mq. I semi vanno ricoperti con un leggero strato di terriccio e dopo la semina, il terreno va mantenuto costantemente umido ma non inzuppato in quanto gli eccessi di acqua possono portare al marciume dei semi o alla morte delle giovani piantine. Dopo circa 2 settimane dalla semina compariranno le nuove piantine che, qualora fossero troppo assiepate o vicine, andranno diradate, eliminando quelle meno sviluppate e più fragili.Per evitare ibridazioni, non seminate l’aneto nelle vicinanze del finocchio selvatico; le due specie, infatti, sono interfertili, cioè l’una può assumere l’odore dell’altra, mantenendo il tenere il terreno libero dalle erbe infestanti. L’aneto può venir coltivato per consumare l’intera pianta, come fosse un ortaggio, nel qual caso le piante vanno tagliate alla base quando superano una ventina di centimetri d’altezza, o per la raccolta dei semi: le piantine, se questo è lo scopo, vanno tenute capovolte sopra un telo, in posizione soleggiata fino a quando i capolini cominciano ad assumere un colore bruno, per completarne la maturazione.

Potatura. Per favorire l’incespimento, come si fa con il basilico o il timo, è necessario cimare o potare manualmente i rametti a circa 20 -30 cm dalla superficie del terreno. Per prolungare ulteriormente il periodo della raccolta delle foglie occorre invece cimare le infiorescenze appena compaiono in quanto per portare a maturazione i semi, sottraggono nutrimento alle piante. 

Raccolta e conservazione. Dell’aneto si possono raccogliere le parti verdi in prefioritura, verso giugno, lasciandole essiccare all’ombra per poi conservare in sacchetti di carta. Mentre i semi che si raccolgono sul finire dell’estate quando la pianta inizia a ingiallire e le ombrelle dei fiori a seccarsi, si ricavano dopo la battitura delle infiorescenze. Come? Si compongono del piccoli mazzetti e, come si fa per l’origano e come detto, si appendono a testa in giù in un sacchetto di carta lasciandoli essiccare qualche giorno in un luogo ombreggiato e arieggiato dopo di ché i semi vanno fatti uscire scuotendo le infiorescenze direttamente nel sacchetto. Per avere aneto fresco per tutto l’arco dell’anno è consigliabile in autunno tagliarne una buona quantità e porre le foglie sminuzzate in freezer, dove il profumo intenso si conserva abbastanza bene, da utilizzare una colta scongelate solo per piatti caldi.

***

Cure colturali. La principale è la difesa dalle malerbe, soprattutto nelle prime fasi di crescita che può essere evitata con la paccimatura naturale con la paglia che ha anche lo scopo di proteggere le piante dal gelo, dal caldo eccessivo, dando modo al terreno di preservare più a lungo il giusto grado di umidità. Questa va sistemata tra le giovani piantine quando hanno raggiunto i 15-20 cm di altezza.

Parassiti e malattie. L’aneto può venire attaccato soprattutto da limacce e lumache che, in breve tempo, possono distruggere il raccolto. Contro questi parassiti si possono predisporre delle trappole a base di birra o distribuire ai piedi del colletto della cenere di camino. Per evitare che il colletto marcisca, il terreno di coltura non va inzuppato, mentre per limitare i danni causati dalle grandinate tardive è bene proteggere le giovani piante con reti o teli antigrandine. Infine, per ottenere piante di aneto forte e rigogliose eliminare periodicamente, manualmente o con la zappa, le erbe infestanti che crescono vicino e tra le piante di aneto.

Bibliografia

  • Giacomo Nicolini, Enciclopedia Botanica Motta. Volume primo, Milano, Federico Motta Editore, 1960, p. 122.
  • Sandro Pignatti, Flora d’Italia. Volume secondo, Bologna, Edagricole, 1982, p. 206, ISBN 88-506-2449-2.
  • D.Aeschimann, K.Lauber, D.M.Moser, J-P. Theurillat, Flora Alpina. Volume primo, Bologna, Zanichelli, 2004, p. 1104.
  • 1996 Alfio Musmarra, Dizionario di botanica, Bologna, Edagricole.
  • Eduard Strasburger, Trattato di Botanica. Volume secondo, Roma, Antonio Delfino Editore, 2007, p. 856, ISBN 88-7287-344-4.
  • Judd-Campbell-Kellogg-Stevens-Donoghue, Botanica Sistematica – Un approccio filogenetico, Padova, Piccin Nuova Libraria, 2007, p. 508, ISBN 978-88-299-1824-9.
  • F.Conti, G. Abbate, A.Alessandrini, C.Blasi, An annotated checklist of the Italian Vascular Flora, Roma, Palombi Editore, 2005, p. 53, ISBN 88-7621-458-5.

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