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Erba del Vescovo

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Non confondetelo con il timo né con il cumino, può essere simile nel sapore prendendo dal primo il gusto un po’ aromatico e dal secondo il lato più piccante, ma non nella sostanza. Infatti il Carum ajowan Sprangue è tutt’altra cosa. Non vi dice niente questo nome? E se dicessimo Trachyspermum ammi, nulla ancora? Certamente vi farete una idea più precisa se definiamo questa spezia con la sua denominazione più popolare: erba del vescovo. Non la conoscete?, non fatevene una colpa, non avete tutti i torti perché è una pianta rara che proviene da terre lontane, dal Medio Oriente. Ecco cosa possiamo raccontarvi al riguardo.

L’aspetto. Piccoli semi, anzi minuti, di forma allungata e di colore variegato tra il grigio-giallino con profonde nervature verdi e beige. A guardarlo c’è chi dice assomiglino a un seme di sedano, tanto da essere confuso con il levistico o il sedano di campagna appunto: sarebbe però un abbaglio. Se lo annusate, abbiamo detto che l’odore si avvicina al timo, questo perché entrambi – timo e erba del vescovo – contengono una sostanza chiamata appunto timolo, in particolare l’ajowan prende il sapore dell’olio pungente del timo stesso, tuttavia mantiene un retrogusto aromatico tra l’anice e cumino. Una volta messo in bocca il seme dell’ajowan ha sapore deciso: intenso, pungente e leggermente amaro. ‘Credenzialità’ che devono guidare anche nelle quantità: poco è sufficiente per insaporire un piatto, anzi qualche seme basta per 5-6 porzioni. Ma i semi non sono i soli a poter essere utilizzati: anche le foglie, ad esempio, possono essere usate per aromatizzare, tipicamente le insalate. L’ajowan è usato nella cucina etnica, in particolare indiana, dove non è quasi mai usato fresco ma essiccato o arrostito o fritto in oli. Viene impiegato anche nella preparazione del classico curry, si abbina bene con patate, lenticchie e fagioli, verso i quali contribuisce a ridurre anche l’aerofagismo. In India, le lenticchie vengono cotte dapprima con la curcuma, poi aromatizzate con la tadka, una salsa ottenuta friggendo cumino, chili, ajowan, aglio e assafetida nell’olio o nel burro. Ancora lo si usa per dare più usto a pane e altri prodotti lievitati come le focacce e in questo caso i semi vengono macinati o pestati in un mortaio o più semplicemente frantumati con le dita per aumentarne il sapore, come pure a pesce, carne e ortaggi. Invece in Africa viene talvolta utilizzato come ingrediente in una miscela di spezie chiamata berberé, indispensabile per lo zighinì, il pepato stufato tradizionale di manzo e pollo; in Nepal è uno degli ingredienti del Panch phoran, un’altra particolare miscela di spezie. L’erba del vescovo è apprezzata in particolare dagli amanti della cucina vegetariana, tuttavia nelle cucine europee è sconosciuto, ma talvolta la si usa come sostituto del timo. Ad esempio se volete trasformare un semplice riso in bianco in un piatto oltremodo saporito ed originale è sufficiente aggiungere una piccola manciata di semi di ajowan nell’acqua durante gli ultimi minuti di cottura.

La terra di origine. L’erba del vescovo è una pianta ombrellifera, che richiama anche la sua forma naturale, annuale, che appartiene alla famiglia delle Apiaceae, strettamente imparentata al carvi, all’aneto e al cumino tedesco. È anche conosciuta con il nome di ‘Cumino d’Etiopia’. Infatti questa pianta si è sviluppata inizialmente in Medio Oriente, con molta probabilità in Egitto perché cresce bene nei climi caldi e secchi, e poi fece la sua comparsa anche in India, Pakistan, Afghanistan e Iran dove ancora oggi viene coltivato. Lo si trova citato fin dall’antichità e nelle lingue antiche: nei testi in greco antico viene denominato “erba di Ammio”, mentre in hindi prende il nome di ajwain. Non si usano solo i semi: ad esempio le foglie si prestano all’uso ornamentale per creare bordi o ciuffi intorno alle aiuole. Tre le spezie simili ci sono il Randhuni, ricavato dai frutti del Carum roxburghianum (sin. Trachyspermum roxburghianum), equivalente in sapore all’ajowan, usata esclusivamente in India, Indonesia e nel sud est asiatico e il levistico o sedano di monte, più comune in Europa e spesso confuso come detto con l’ajowan.

Coltivare l’ajwain. Ha due habitat previlegiati: all’aperto se si vive in paesi molto caldi/tropicali dove si presta a essere coltivata come pianta perenne, in aree con climi più temperati può essere coltivato all’aperto o al chiuso dentro dei contenitori. Non presenta particolari difficoltà di coltivazione, ma è piuttosto difficile da reperire.  In caso lo si trovi fresco in un negozio di specialità indiane, si può fare produrre la pianta dalle talee; si sviluppa in quasi tutti i tipi di terreno, sebbene preferisca quello alcalino. Non richiede molto materiale organico e, una volta interrato, avrà solo bisogno di annaffiature regolari e luce solare. Occorre fare attenzione che il terreno dreni bene ed avere cura di piantarlo in ampi spazi perché l’ajwain si espande con la crescita al pari della menta.

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Vi chiederete quando si semina. Il momento migliore per la semina diretta in campo aperto è dopo gli ultimi giorni di gelo, cioè da metà maggio, scegliendo una posizione non troppo assolata. È essenziale che il terreno sia preparato adeguatamente, ovvero va precedentemente vangato e reso soffice, aggiungendo anche del compost. Una volta che il terriccio e/o il terreno sono pronti, i semi freschi vanno sparsi in solchi posti a circa 30 cm di distanza uno dall’altro e coperti con la terra. La superficie deve essere mantenuta sempre umida, evitando i ristagni d’acqua. Dopo che i semi sono germinati, si procede a diradare le piantine. L’ajowan è una pianta annuale, che in condizioni ottimali è in grado di raggiungere anche un’altezza di 50 cm. In estate, tra le foglie finemente pennate, compaiono piccoli fiori, infiorescenze bianche, che come quelle di molte altre ombrellifere, vengono visitate con grande frequenza da api e bombi, un’altra tipologia di insetto appartenente alla famiglia degli imenotteri.

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