“Ozio padre di tutti i vizi” recita la massima cristiana, lasciando intravvedere in esso non propriamente un “peccato” ma il seme del peccato stesso.
Il mondo pagano aveva una visione completamente diversa, tanto che nel mondo classico c’era la contrapposizione tra otium e negotium. Il primo rappresentava il tempo dedicato alla riflessione ed all’introspezione, alla cura della conoscenza e delle arti, quindi alla cura di sé attraverso strumenti di contemplazione e studio. Il secondo si riferiva all’attività mercantile e commerciale, politica o professionale.
Inutile dire che l’otium era appannaggio delle classi abbienti (che se lo potevano permettere) e molte splendide ville latine sono chiamate anche ville d’otio, in quanto rappresentavano un buen retiro al riparo dalla frenesia dei commerci e degli affari.
Lo stesso concetto di vacanza è da far risalire a questa visione. Il termine infatti deriva dal latino vacans, participio presente del verbo vacare=essere vuoto (da impegni), libero. Il ferragosto, che rappresenta nella nostra cultura il culmine dell’estate e del periodo di vacanza, deriva anch’esso dal latino: Feriae Augusti (riposo di Augusto).
Il cristianesimo, con l’introduzione del concetto di peccato e di espiazione, sull’onda del principio benedettino “Ora et labora”, vede nell’ozio, nel tempo cioè “vuoto”, una trascuratezza dei propri doveri, a meno che non sia dedicato alla preghiera. L’accidia, cioè l’indolenza ad operare il bene, diventa uno dei sette vizi capitali. Con la riforma protestante poi viene ulteriormente enfatizzata la sacralità del lavoro.
La nostra cultura tecnologica, che ha in qualche modo abbattuto i limiti spaziali e temporali, perennemente proiettata verso un “..ancora..” e “..di più..” infiniti, non sembra avere assolutamente spazio per l’ozio ( e per quello che esso può rappresentare).
Le ferie, le vacanze, il tempo libero, diventate possibilità per tutte o quasi) le classi sociali, sono solo un altro spazio da riempire, da occupare in base ad un nuovo imperativo categorico che, a seconda delle situazioni o delle fasce d’età, può essere “devi divertirti”, “devi rilassarti”, “devi visitare e conoscere”. Eppure, citando il titolo di un articolo della rivista Riza “L’ozio è il padre di un cervello sano!” anche a livello cognitivo una mente satura, troppo e costantemente sottoposta ad iperstimolazione, può andare in tilt.
A livello psicopatologico lo psicologo Spagnolo Rafael Santandreu ha coniato il termine di “oziofobia” per indicare quella condizione, ben conosciuta nell’esperienza di molti clinici con i loro pazienti, di disagio, se non a volte di vero e proprio panico, connessa con la paura del “vuoto” (in termini di impegni e di cose da fare). Dietro questa paura c’è la continua ricerca della performance, della valutazione quantitativa, della misurazione e del confronto. C’è la difficoltà (in molti casi l’incapacità) di ascolto di sé, di attesa, di autostima. Il vuoto, il tempo vacante, diventa come un enorme buco nero in cui si teme di essere risucchiati.
L’esperienza del Covid ha rappresentato la possibilità di un fermo e, in molti casi, ha avuto, grazie all’aspetto collettivo e generalizzato di questo fermo, l’effetto di attenuare l’ansia sociale, di far sentirei cioè legittimati a pensare, riflettere, annoiarsi, fantasticare ecc.
Anche le ferie possono essere un periodo di ozio, socialmente e collettivamente legittimato e riconosciuto. Usiamolo!