Quando Enzo Maiorca, padre dell’apnea, che negli anni ’70 ne padroneggiava le scene insieme a J. Mayol, annunciò di volere raggiungere la profondità di -50m, ci fu un medico francese, Cabarrou, che si oppose a tale tentativo, motivandolo col fatto che, a quella profondità la gabbia toracica del campione sarebbe implosa.
Aveva simulato, infatti, l’immersione di un uomo di dimensioni medie, facendo arrivare sott’acqua un specie di cassetta della frutta in legno, che ricordasse, appunto, un torace umano. A quella quota tale accrocco sperimentale si accartocciò su se stesso, di qui le preoccupazioni dello studioso. Il campione italiano, però, contravvenne alle disposizioni mediche, tuffandosi alla quota che desiderava e ne uscì illeso.
Cominciarono così gli studi sulle trasformazioni fisiologiche che avvengono in un corpo umano quando approccia alla profondità e si è scoperto il verificarsi di un fenomeno straordinario, cui è stato dato il nome di Blood Shift o emocompensazione polmonare o erezione polmonare. Si è osservato che tale fenomeno si attiva non appena ci si comincia a muovere in acqua, insieme al riflesso di immersione, anche in pochissimi metri o centimetri addirittura, ovviamente esso diventa di portata maggiore a quote più profonde. A mano a mano che scendiamo verso gli abissi, le parti aeree del nostro organismo, per la legge di Boyle, si riducono di volume: a -40 metri il volume polmonare è di 1/5 rispetto a quello che si ha in superficie; a -100 metri è pari ad 1/11 del volume che si ha al livello del mare.
Lo spazio lasciato vuoto all’interno dei polmoni, dall’aria che, compressa, si è ridotta di volume, se non fosse occupato da nulla permetterebbe alla gabbia toracica di ripiegare su se stessa. Ed ecco che interviene non solo la perfezione del nostro corpo, progettato per sopravvivere sempre ed ovunque e che anela a tale sopravvivenza anche in una situazione estrema, ma il retaggio genetico che comunque ci appartiene, della vita che è nata in acqua.
La gabbia toracica comincia a riempirsi di sangue, richiamato dalle zone periferiche. Ciò assolve a due funzioni:
a) il sangue è un liquido ed, in quanto tale, è incomprimibile, per cui, protegge il torace da un’implosione;
b) defluendo dalle zone periferiche, gambe e braccia, cominceranno 1) ad essere irrorati e ad essere “difesi” solamente gli organi vitali ed inoltre, 2) il corpo, avvertendo di trovarsi in una situazione estrema e di pericolo, cerca, in questo modo, di risparmiare ossigeno il più possibile, favorendo le apnee dell’atleta.
Tale sangue, inoltre, è molto denso e privo della parte acquosa, poiché si attiva nel subacqueo un ormone che induce una frequente voglia di urinare. Quando le performance diventano impegnative, e si parla di tuffi oltre i 50 metri, il blood shift comincia ad assumere caratteristiche importanti, per cui è fondamentale rispettare seri ed adeguati tempi di recupero.
Nel riemergere, infatti, il sangue ritorna verso le zone periferiche, ma essendo più denso, perché privato dell’acqua che ha espulso con la pipì, fa fatica ed è più lento nel farlo e bisogna lasciargli il tempo necessario per “riposizionarsi” nel modo giusto. È consigliabile, inoltre, bere molto dopo l’apnea, per reintegrare i liquidi persi, anche laddove non se ne avverta la necessità. C’è da dire, inoltre, che gli atleti professionisti usano tecniche di respirazione tali (respirazione glosseofaringea o carpa) da immagazzinare un’enorme quantità di aria, durante l’ultimo respiro prima di una performance, molto più ampia rispetto ad una normale inspirazione.
Tali metodi prevedono che, in risalita il subacqueo rallenti un po’, poiché il volume polmonare, che si sta avvicinando alle dimensioni originarie, non trova più subito tutto il suo spazio, quello che aveva all’inizio, prima del tuffo in profondità, in quanto, una parte di esso, potrebbe essere ancora occupato dal sangue che, lentamente, defluisce verso la periferia del nostro corpo.
A volte è necessario che tali subacquei “sbollino” anche un po’ prima di emergere, altrimenti, all’uscita del loro tuffo, potrebbero rilevare alcune tracce ematiche nella saliva, dovute alla rottura dei capillari presenti nei polmoni, nei quali c’è ancora molto sangue e spazio non sufficiente per contenerlo assieme all’aria che riacquista un’espansione di volume pari a quella che la caratterizzava in partenza.
di Mariafelicia Carraturo
www.feliciacarraturo.it