Sarebbe impossibile provare a descrivere tutte le specie vegetali che l’essere umano ha incontrato e addomesticato nel tempo. Per questa ragione abbiamo scelto di raccontare solo la vita di alcune entità botaniche, non perché abbiano una maggiore importanza rispetto ad altre ma perché, pur trattandosi di specie molto conosciute, nascondono alcune interessanti curiosità.
Il pomodoro, ovvero Solanum lycopersicum, è una pianta erbacea di origine americana appartenente alla famiglia delle Solanacee; tale famiglia comprende alcune tra le piante più velenose note, tra cui la belladonna (Atropa belladonna).
Quello che noi consumiamo a tavola per condire un bel piatto di pasta o una pizza è il frutto carnoso di S. lycopersicum, contenente numerosi semi, botanicamente definito bacca. Il nome volgare ha a che fare con la colorazione tipica della bacca appena prima della sua completa maturazione, che le conferisce il tipico aspetto di un “pomo d’oro” appunto.
Il genere Solanum dà il nome all’intera famiglia botanica e deriva da “sólor”, cioè consolare, lenire, per le proprietà medicamentose di alcune piante di questo genere; l’epiteto specifico lycopersicum deriva dal greco “lýcos” lupo e dal latino“pérsica malus” pesco; la traduzione “pesco del lupo” è di dubbia interpretazione, probabilmente sono così detti perché si credeva che i frutti venissero mangiati dai lupi o perché mangiati crudi erano ritenuti motivo di gravi accidenti a causa del loro sapore acido. In effetti, quando giunse in Europa nel 1540 introdotto dal conquistador Hernán Cortés durante il suo ritorno in patria, il pomodoro venne subito guardato con grande sospetto, esattamente come i cugini Solanum nigrum e Atropa belladonna, la cui velenosità era già stata saggiata. Dunque inizialmente la pianta venne utilizzata esclusivamente a scopo ornamentale: all’epoca i frutti crescevano poco e mantenevano una colorazione giallo oro assai decorativa. Oggi sappiamo che sono le parti verdi della pianta a contenere la sostanza tossica, la solanina, presente in minime quantità nelle bacche mature che possono essere quindi consumate tranquillamente.
Il pomodoro, oltre ad essere molto saporito, è anche un importante componente della dieta mediterranea grazie ad alcuni nutrienti tra i quali il licopene, un carotenoide dalle proprietà antiossidanti; questo pigmento è necessario all’organismo umano il quale, non essendo in grado di sintetizzarlo autonomamente, deve assumerlo tramite la dieta: oltre l’80% del licopene che si rinviene nel nostro corpo deriva infatti dal consumo di pomodoro o di prodotti da esso derivati!
Le cultivar che entrano nelle nostre cucine appartengono a varie tipologie di pomodoro ognuna con la propria certificazione che ne garantisce l’origine protetta; si tratta di piante selezionate in territori diversi e che presentano caratteristiche tipiche quali forma, colore, dimensione. Pensiamo ad esempio al “pomodoro del piennolo” tipico del territorio vesuviano, il quale cresce su un suolo vulcanico producendo piccole bacche dalla forma tonda con una peculiare punta sporgente in basso. Molto apprezzata nel meridione, questa varietà ha la particolarità di potersi conservare a lungo in ambienti ben areati; il termine “piennolo” si riferisce proprio all’usanza di appendere sul balcone i grappoli di pomodori.
Passando all’ambito delle piante coltivate per le loro fibre naturali, il cotone ci è sicuramente molto familiare: le fibre tessili si ricavano da varie specie del genere Gossypium. Si tratta di una pianta arbustiva conosciuta in India sin dall’antichità e coltivata oggi in moltissimi paesi.
I fiori del cotone sono molto ornamentali e ricordano quelli dell’ibisco; tale somiglianza non è casuale visto che le due specie appartengono entrambe alla famiglia delle Malvacee, una famiglia che comprende piante a noi molto care, come quella del cacao (Theobroma cacao)!
Una volta fecondati, i fiori del cotone si trasformano in frutti i quali sono delle capsule contenenti semi avvolti in una soffice e candida bambagia. Ogni seme è legato ad una struttura piumosa che ha una funzione molto precisa: serve a mantenere in sospensione il seme dopo l’apertura della capsula; in questo modo i semi possono essere trasportati dal vento anche per parecchi chilometri in un avventuroso viaggio a cui diamo il nome di anemocoria, dal greco “ànemos” vento e “corìa” disseminazione. Ciò giova alla pianta, il cui scopo è allontanare la progenie su spazi più ampi alla conquista di nuovi territori dove affermare la presenza della propria specie. L’uomo è intervenuto in questo processo addomesticando alcune piante per poterne utilizzare la fibra naturale e ha trovato il modo di lavorarla per ricavarne tessuti robusti e resistenti che conosciamo molto bene.
La raccolta dei semi viene effettuata circa una settimana dopo la maturazione delle capsule, dopodiché viene praticata la separazione del cotone grezzo, la filaccia, dai semi rendendo la fibra idonea alla cardatura in modo da eliminare le impurità; i semi possono essere ulteriormente sfruttati per estrarne un olio che viene usato nei prodotti alimentari e anche per la cura del corpo.
Nel frattempo le fibre vengono sottoposte ad ulteriori trattamenti quali la filatura, la tessitura e la colorazione: quest’ultima viene fatta oggi in maniera artificiale ma, anticamente, si utilizzavano tinture estratte dalle “piante tintorie”, le quali possiedono nei loro organi particolari pigmenti in grado di tingere non solo i tessuti ma, in alcuni casi, anche pellami e capelli!
Citiamo come esempio la Isatis tinctoria dalle cui foglie si estrae il colore blu. Si tratta di una pianta erbacea di origine asiatica appartenente alla famiglia delle Brassicacee, la stessa che comprende alcune tra le verdure più consumate sulle nostre tavole, come il cavolo e la rucola. La I.tinctoria si è inselvatichita in alcuni territori italiani, ad esempio in Sicilia, dove è stata oggetto di studi relativi alla fitochimica della specie; pur non essendo più utile all’uomo come colorante naturale, questa pianta si è rivelata preziosa per le sue proprietà biologiche: gli studi condotti dall’università di Messina hanno rilevato la presenza di alcune sostanze oggi indagate per le loro proprietà terapeutiche.
Sembrerebbe addirittura che la presenza di un particolare composto, la glucobrassicina, abbia proprietà antitumorali.
Le piante aiutano l’uomo! Oltre alla bellezza e alla genuina spontaneità che presentano allo stato libero, i vegetali rivelano ulteriori aspetti di grande utilità per l’essere umano: questo particolare forse non è casuale e non deve stupirci, poiché potrebbe essere associato all’ “interesse” stesso che ha la pianta ad utilizzare l’uomo come vettore di dispersione del seme; in pratica, mantenendo vivo l’interesse umano nei loro confronti, le piante si assicurano un ulteriore possibilità di conquista di nuovi territori.
A proposito delle virtù curative, è doveroso a questo punto citare il gruppo delle piante medicinali, ossia piante che presentano specifiche proprietà terapeutiche. Nelle prossime lezioni ne parleremo in maniera più approfondita ma vogliamo qui riportare un esempio forse poco noto: Allium sativum, l’aglio! Una pianta che conosciamo sicuramente per le sue virtù alimentari ma che nasconde altri pregi. Si tratta di una specie di origine asiatica appartenente alle Amaryllidacee, una famiglia di piante monocotiledoni (angiosperme aventi un solo cotiledone nel seme) comprendente soprattutto specie bulbose. Sono appunto i bulbi ad essere utilizzati per i nostri condimenti; il bulbo è una particolare struttura che consente alle piante di sopravvivere sottoterra durante la stagione avversa. Essa deriva dalla trasformazione delle gemme fogliari che avvolgono un fusto sotterraneo raccorciato; le foglie sotterranee, chiamate catafilli, aumentano il loro spessore divenendo una importante fonte di riserva di acqua e nutrienti che vengono utilizzati per rigenerare la parte aerea durante la stagione favorevole.
L’aglio, oltre ad insaporire i nostri piatti, possiede benefiche qualità medicinali. Il caratteristico odore pungente tradisce la presenza di composti solforati tra cui l’alliina e l’allicina che conferiscono alla pianta proprietà antibiotiche e antisettiche. Prima della comparsa degli antibiotici, l’aglio veniva usato nel trattamento di vari tipi di infezione tra cui la dissenteria. Tutt’ora viene utilizzato come rimedio casalingo per curare infezioni intestinali causate da alcuni parassiti.
Le piante sono apprezzate esteticamente specialmente per i loro fiori. È nota a tutti la bellezza dei fiori di orchidea. La struttura di questo fiore è molto particolare e, anche non riconoscendone il significato evolutivo si coglie immediatamente la sua particolarità. I fiori di orchidea sono unici in quanto presentano delle strutture modificate ad hoc per potenziare la capacità di richiamo dell’insetto minimizzando il dispendio energetico investito dalla pianta a questo scopo. Sappiamo bene ad esempio che molte piante “sprecano” il loro polline affidandone una quantità extra all’insetto per ricompensarlo del suo lavoro. Oppure viene prodotto appositamente del nettare, sostanza dolce e nutriente molto apprezzata. La struttura fiorale delle orchidee è concepita per rilasciare soltanto la quantità di polline necessaria ai fini della riproduzione, senza sprechi! Inoltre la forma a volte sembra combaciare perfettamente con l’anatomia dell’insetto.
Non è tutto. Alcune specie di orchidea ingannano e plagiano letteralmente l’insetto inducendolo ad avvicinarsi con false promesse: è il caso di alcune specie del genere Ophrys, diffuse sul territorio europeo, i cui fiori somigliano alle femmine di particolari specie di api selvatiche i cui maschi, illudendosi di aver trovato una femmina disponibile, si fiondano sul fiore senza contegno! Questo fatto è davvero incredibile soprattutto considerando che i fiori non solo imitano nella forma e nel colore un’ape ma riescono addirittura ad imitarne la chimica producendo ormoni sessuali del tutto simili a quelli che produce l’ape femmina nel periodo degli amori.
Quando metteremo in casa un vaso con dei bei fiori di orchidea, le guarderemo con occhi diversi…